Lucera era città cospicua, capitale della Daunia, già prima della fondazione di Roma. Libera e indipendente, essa si governava con proprie leggi. Trascorso qualche secolo dalla distruzione di Troia – circa 322 anni prima di Roma -, Lucera accolse i greci dell’emigrazione ellenica, dai quali trasse usanze, arti e religione, divenendo città semigreca; però non perse la sua indipendenza, ma continuò a battere moneta coi propri simboli: con L osco o italico, o con l’iscrizione LOUCERI.
Fondata Roma, allacciò subito buoni rapporti con essa, difatti un Lucerus dauno sostenne Romolo contro Tazio, e ancora con l’Urbe si schierò contro Alba Longa. Questa leale alleanza si trasformò in federazione, e ciò si apprende dalla moneta (asse) romano-consolare, che reca impressa sul retto la testa di Giano, con barba e corona d’alloro, e sotto il collo la L arcaica; sul rovescio prora di nave, con vela latina abbassata e sopra il segno dell’asse (I) e a fianco alla prora L ripetuto, con sotto il nome ROMA.
Sul finire del IV sec. a. C. (319 a. C.) Lucera, poiché città confederata con Roma (insieme con altre città appule e lucane), fu coinvolta nella 2a guerra sannitica. I Sanniti – i cui antenati erano stati i probabili fondatori di Lucera, poiché Roma aveva respinto sprezzantemente i loro ambasciatori, inviati “a rendere i prigioni e le cose già tolte a’ Romani”14 e a trattare per far togliere l’assedio romano alla città di Palepoli -, per colpire indirettamente l’Urbe, prepararono un agguato all’esercito romano. Il loro valoroso duce Caio Ponzio Telesino, figlio di Erennio, concentrò le sue milizie presso il luogo detto Caudio, vicino Maddaloni, nelle cui vicinanze aveva saputo essersi accampati i consoli Veturio Calvino e Spurio Postumio; ma, considerando che i Romani dovunque riportavano successi e vantaggi e che non avrebbe potuto vincerli in battaglia campale, inviò dieci soldati, travestiti da pastori, i quali, fingendo di pascolare il bestiame nei dintorni dell’accampamento romano, vennero a parola coi Romani e ad essi confidarono la falsa notizia che le legioni sannitiche erano in Puglia ed avevano assediato Lucera, ormai in procinto di capitolare.
Per soccorrere senza indugio la fedele alleata i Romani, temendo che la presa di Lucera potesse dare origine a una defezione generale nell’Apulia, si diressero per la via più breve che dal Sannio portava alla Daunia; sennonché nell’attraversare una gola tra i monti boscosi, proprio presso Caudio, si trovarono la strada sbarrata da grossi massi e tronchi di alberi e si avvidero che sui monti erano appostati i nemici; resisi conto dell’inganno, si volsero sbigottiti per tornare indietro, ma anche il ritorno era impedito dai Sanniti, che in tal modo li avevano accerchiati; allora i Romani furono costretti a mandare ambasciatori a chiedere la pace e, non ottenendola, a invitarli a giornata. Ma C. Ponzio rispose che li avrebbe mandati liberi sì, ma prima li avrebbe fatti passare sotto il giogo con la sola veste indosso; inoltre i Romani avrebbero dovuto levare le colonie dal Sannio. Ai consoli non restò che sottoporsi all’umiliazione e lasciare, come ostaggi, nelle mani dei Sanniti seicento cavalieri delle migliori famiglie romane, che sarebbero stati liberati dopo l’accettazione da parte del popolo e del Senato romani delle loro condizioni.
Lo smacco subìto dall’esercito romano spinse alcune città dell’Apulia a sconfessare l’amicizia con Roma e ad unirsi ai Sanniti, i quali, divenuti baldanzosi, si rivolsero contro Lucera, per punirla della sua fedeltà a Roma, e, conquistatala, vi concentrarono l’esercito e rinchiusero nella rocca gli ostaggi.
Ma l’onta, che andò sotto il nome di Forche Caudine, indignò così tanto il Senato romano, che respinse il proposto trattato e decretò la ripresa delle ostilità. L’anno dopo (318 a. C.) i due nuovi consoli Quinto Publilio Filone e Lucio Papirio Cursore ripresero la guerra: il primo si diresse nel Sannio e vi restò a costituire una minaccia per i nemici; l’altro console per la via adriatica si diresse verso Lucera e la strinse di assedio ad oriente, sulla via per Arpi, onde impedire i rifornimenti agli assediati. Intanto i Sanniti risolsero di venire a battaglia con Publilio, prima che Lucera fosse attaccata, ma furono duramente sconfitti dai Romani, “memori della ignominia e dell’oltraggio sofferto”,15 e quelli che riuscirono a fuggire si diressero verso Lucera per unirsi ai commilitoni; ma la carestia “afflisse e molestò parimente a quei che assediavano, e gli assediati. Ogni cosa era dagli Arpini somministrata al campo dei Romani, ma tanto scarsamente che essendo i soldati occupati nelle guardie, e nelle vegghie e nelle opere, i cavalieri recavano da Arpi il frumento in certi sacchetti, e trovando talora per lo cammino i nemici, erano costretti gettare il frumento e combattere; ed agli assediati, innanzi che arrivasse l’altro console con l’esercito vincitore, erano dal Sannio portate le vettovaglie. Ma Publiblio lasciata la cura dell’assedio al collega, andava chiudendo le vie al nemico”.16 “Allora i Sanniti accampati presso a Luceria, adunate avendo le truppe, presero il partito di venire ad un fatto di armi con Papirio. Mentre si apparecchiavano gli uni e gli altri alla battaglia, arrivano deputati da Taranto ad intimare ai Sanniti ed ai Romani che desistessero da qualunque ostilità, protestando che si dichiarerebbero contro quello dei due popoli che si ricusasse di farlo”.17 Papirio finse di accondiscendere, ma chiese di discuterne col collega; fece venire quindi Publilio con l’esercito e, mentre fingevano di discutere tra loro, preparavano la battaglia. Quando vennero i deputati tarantini per la risposta, i consoli risposero che gli dei erano dalla loro parte e rimproverarono “giustamente quella nazione (Taranto) piena di folle orgoglio, la quale non potendo mettere in assetto i suoi affari, né sedare gl’interni tumulti, voleva intromettersi a dar legge agli altri con aria di superiorità e d’imperio. I Sanniti, che non si aspettavano di dover combattere”,18 si dichiararono favorevoli alla proposta dei tarantini. Ma i consoli attaccarono il campo nemico da ogni lato, con le truppe animate dal desiderio della vendetta per l’ignominia subita. La strage sarebbe stata più crudele, se i consoli non avessero frenato la vendetta dei loro soldati, temendo per la sorte degli ostaggi. I due consoli poi si separarono: Publilio corse per la Puglia a sottomettere diversi popoli con la forza o a convincerli a confederarsi con Roma, e Papirio rimase davanti a Lucera per impedire qualsiasi rifornimento dal Sannio. Alla fine, non potendo più resistere per la fame, i Sanniti mandarono ambasciatori al console, con la proposta che, riavuti gli ostaggi, togliessero l’assedio. Papirio vi acconsentì alle condizioni che i nemici lasciassero armi, animali ed arnesi nella città e, ciascuno coperto dalla veste, passasse sotto il giogo per vendicare l’offesa loro comminata. Così Ponzio, duce dei Sanniti, con settemila soldati passarono sotto il giogo. In Lucera si trovò gran bottino: furono ritrovate le insegne e le armi perse alle Forche Caudine e furono liberati gli ostaggi. Papirio poi si recò in Roma ed ebbe grande trionfo.
Pochi anni dopo, istigati gli abitanti, la città insorse contro i Romani e si consegnò ai Sanniti; ma i consoli Marco Petilio e Caio Sulpizio, da poco usciti vittoriosi a Terracina, Benevento e in altre città, vi accorsero celermente con gli eserciti, e, dato l’assalto e ripresa la città, non la perdonarono né ai lucerini traditori, né ai nemici Sanniti. Riferito tal fatto a Roma, cioè della ribellione e della sottomissione di Lucera, vennero a delinearsi nel Senato due partiti: alcuni proposero di radere al suolo la città “perché due volte ribelle, e perché riusciva difficile per la distanza a tenerla in freno come Colonia, e sarebbe stato molesto per i cittadini romani essere piazzati in Lucera, ove si sarebbero trovati come in esilio fra gente nemica. Vinse però la più mite sentenza, e Lucera fu designata e ricevuta come Colonia dei Romani” (314 a. C.).17 Allo scopo vi furono mandati 2500 cittadini romani, affinché la ampliassero e, vivendo con i patrii costumi e leggi, ne impedissero ulteriori ribellioni e la mantenessero sotto il potere di Roma.
Ma i Sanniti, acerrimi nemici di Roma, non si rassegnarono e mirando sempre a conquistare la città, tornarono a minacciarla. Fu inviato Quinto Fabio Massimo che sconfisse i Marsi e i Peligni, alleati dei Sanniti, i quali, benché battuti, non ristettero dal guerreggiare, sicché i nuovi consoli Lucio Postumio Mugillo e Marco Attilio Regolo si diressero nel Sannio e li sconfissero, ma i Sanniti si volsero a porre l’assedio a Lucera e tentarono di espugnarla. Il console Attilio Regolo vi accorse sollecitamente in difesa e si accese una battaglia sanguinosa da ambo le parti che durò due giorni. I Sanniti riuscirono a mettere in fuga i Romani, ma il console “a cavallo disperatamente si avanza e giunto alla porta del campo vi colloca un piccolo corpo di cavalleria con ordine di trattare qual nemico ed uccidere indistintamente qualunque Romano o Sannita che si avvicinasse alle trincee”.20 Così facendo infuse forza e coraggio ai soldati, e il combattimento riprese ostinato e veemente. Alla fine la vittoria fu dei Romani; sul campo rimasero 4.800 Sanniti e i molti prigionieri (7.300) dovettero passare sotto il giogo. Anche i Romani persero oltre 7.000 uomini.
Qualche decennio dopo, cessate le ostilità coi Sanniti, Lucera, sempre fedele a Roma, partecipò alla guerra contro Taranto (281-275 a. C.), durante la quale resistette ai vari tentativi di Pirro, re dell’Epiro ed alleato dei Tarantini, di conquistarla; così Lucera contribuì, con Venosa, Arpi e Canosa a salvare la federazione romana. Pirro fu sconfitto presso Ascoli Satriano, dai consoli P. Sulpizio Saverrione e P. Decio Mure.
a cura di Dionisio Morlacco