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‘Una pena più dolce…’ al carcere di Foggia. Al via il progetto formativo

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Luigi Talienti, tutor e motore del progetto – realizzato grazie al Decreto Ministeriale 663, art 13 ‘scuola in carcere’, è rivolto a 15 detenuti della casa circondariale di Foggia, che potranno acquisire le nozioni di base dell’arte pasticcera, grazie a un docente di eccezione, Claudio Zingaro, che ha partecipato a trasmissioni televisive di Rai 1 ed è impegnato in numerose attività di beneficenza”.

Il progetto ha visto la collaborazione sinergica della Direzione della Casa Circondariale, dell’Area Trattamentale, del Corpo di polizia penitenziaria e, per l’aspetto della comunicazione, nella fase pratica sarà supportato dal CSV Foggia.

“La nostra sarà una formazione non fine a se stessa – aggiunge Talienti – perché con questo corso di 60 ore vogliamo porre le basi per creare nuove figure professionali che possano lavorare all’esterno. Ma non solo. L’iniziativa risponde all’obiettivo della più ampia formazione possibile in vista di un futuro reinserimento lavorativo e sociale delle persone che scontano una pena. È questo il primo dei percorsi che viene realizzato, altri sono in incubazione e speriamo possano vedere presto vedere la luce, con l’obiettivo di esternalizzare ciò che ora viene fatto all’interno dell’Istituto”.

Lavorare in carcere è un’opportunità che mette alla prova detenuti, istituzioni e operatori. L’esperienza che vedrà coinvolti i detenuti della casa Circondariale di Foggia nelle prossime settimane sarà illustrata nel corso di un convegno, organizzato dal CPIA1 a metà dicembre.

“La formazione, come tutti gli altri strumenti - conclude Talienti - può costituire un allentamento della tensione, un impegno mentale che favorisce la non fissazione nel qui e ora della cella, un’occasione di incontro con persone che, provenendo dall’esterno, favoriscono una sensazione di minore abbandono nei detenuti. E questo ha una ricaduta positiva sulla sicurezza interna. Si tratta di una funzione molto importante che già da sola potrebbe essere vista come coerente con un processo di umanizzazione della pena, aspetto che resta indispensabile”.

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