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Oltre la grata - La storia della cittadella claustrale e delle sue protagoniste rivive in una mostra allestita presso il museo diocesano di Lucera

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Una chiesa e un monastero ebbero assoluta centralità nella vita civile e sociale della città di Lucera. Il pensiero corre veloce nel tempo, al quieto operare dei suoi protagonisti, a quelle monache figlie dei più illustri casati di Lucera e provincia, educande, converse, novizie, monache di clausura e madri badesse, che hanno scritto la storia dell’antico "Monastero delle Dame", che ospitava le.

Esattamente per sei secoli, dal 1334 al 1935, la casa conventuale di S. Caterina d’Alessandria d’Egitto ospitò il ramo femminile dell’Ordine monastico Celestino, la Famiglia religiosa fondata da San Celestino V, al secolo Pietro Angelieri (1215 circa - 1296), colui che – per dirla col sommo poeta – «fece per viltade il gran rifiuto». In realtà non si trattò di viltà ma di un violento raggiro portato a buon fine da quella mente di Benedetto Caetani. Eletto infatti al Soglio pontificio nel luglio del 1294, dopo appena cinque mesi l’Angelieri rinunciò all’incarico, aprendo la strada all’ascesa del Card. Caetani, che divenne papa col nome di Bonifacio VIII.

La chiesa, fatta edificare da Roberto d’Angiò, a partire dal 1334 fu annoverata tra le undici parrocchie dall’allora Vescovo di Lucera, il domenicano fra’ Giacomo, mente l’originario convento venne destinato a sede delle monache benedettine che vestivano il saio biancolatte dell’Ordine celestino, vale a dire si reggevano con la regola di papa Celestino V. Originariamente di stile gotico, le tante variazioni e restauri subiti attraverso i secoli fecero perdere alla primitiva struttura architettonica dell’edificio la freschezza delle linee iniziali, facendole acquistare l’attuale aspetto misto, settecentesco, prevalentemente barocco, meno evidente nella facciata cuspidata, con portalino e timpani spezzati; più ricercato nello slanciato campanile, dotato di coronamento a pagoda, che invita a credere ad una rielaborazione cristiana di una precedente mano araba. Il monastero benedettino, invece, dovette in origine allocare in un modesto immobile, congiunto alla chiesa, dal momento che dal 1447 al 1468 pare ospitasse anche il Tribunale della Dogana delle pecore di Puglia, per divenire più fiorente in seguito alla soppressione della diocesi di Fiorentino (1477), quando, per l’eccessivo spopolamento di quel paese, le monache benedettine furono ospitate nel convento lucerino. Ristrutturato e ridotto a clausura nel 1525 dal vescovo Alfonso Carafa, ormai incapace di contenere le crescenti vocazioni e le annesse opere di carità e di apostolato (orfanotrofio, educandato, scuola di canto liturgico, laboratorio di ricamo), a partire dal 1750 il monastero fu notevolmente ampliato con la realizzazione dell’edificio barocco prospiciente la chiesa di S. Gaetano, che ancora oggi si ammira, in tutta la sua decadenza. Ma l’Istituto attraversò anche dei momenti difficili, come quando, sotto il rigido governo episcopale di mons. Domenico Morelli, nel 1706 la disperazione dei religiosi e l’astio diffuso nella popolazione divenne tale che le Dame del convento, ridotte allo stremo, si rivolsero armate contro il vescovo, costringendolo ad abbandonare temporaneamente la città. Confessore ufficiale del monastero era a quel tempo il Padre Maestro dei conventuali: San Francesco Antonio Fasani. Un secolo dopo, dicembre 1825, sempre in questa chiesa un giovane sacerdote del Clero di Lucera – Alessandro De Troia – riceveva l’ordinazione sacerdotale.

Scampato alle soppressioni di tutti gli Ordini religiosi imposto dal governo francese di Napoli (1806-1815), il monastero di clausura delle Benedettine chiuse per sempre nel 1863, con la soppressione degli Ordini claustrali decretata dal Regno d’Italia. I suoi locali, incamerati dallo Stato, servirono a rimediare alla generale carenza di strutture pubbliche comunali, ospitando dapprima la scuola elementare (1912), prestandosi poi a ricovero di sfollati durante e dopo il secondo conflitto mondiale. Le ultime classi scolastiche abbandonarono quei locali solo nel 1988.

La spiritualità della chiesa si accrebbe quando, alla vigilia del mese mariano del 1932, vi giunse una statua della Madonna di Lourdes. L’icona, prendendo vita, nel gennaio 1959, si manifestò a una signorina di nome Rosa Lamparelli, rivolgendole un primo messaggio.

Nel 1936 in quegli stessi locali giungeva un giovane chierico Giuseppino, Padre Angelo Cuomo, che iniziava a mettere a disposizione della città tutte le sue migliori energie, aiutato da un gruppo di abitanti del quartiere, tra cui la signorina  Rosinella. Sono soprattutto i giovani a beneficiare dell’assistenza spirituale e, insieme, morale e religiosa che da Santa Caterina si irradia in tutto il paese. Uno di quei ragazzi, un “crociatino”, diverrà un giorno prima dignità del Capitolo Cattedrale. Passati i tempi bui della guerra e intuito che per una sana azione  di evangelizzazione non si poteva rimanere chiusi nell’angusto perimetro di S. Caterina, ma che l’Opera andava allargata a tutta la città e a tutti i ceti sociali, iniziava la realizzazione dell’Opera Nuova, che noi tutti oggi conosciamo.

Passano gli anni, la città si trasforma: mentre la vecchia “Santa Caterina” rivive nella nuova “Opera San Giuseppe”, il primitivo complesso decade. Sarà recuperato solo negli ultimi anni del ‘900 grazie alle offerte raccolte da un comitato di fedeli ispirati sempre da “zia Rosinella”. Già nei messaggi del ‘59, la Madonna aveva chiesto “che fosse riparata la sua casa”; invito che ora viene accolto da una moltitudine di persone. Un altro miracolo sta per realizzarsi. L’operazione non sarà facile. Uomini e donne di buona volontà si prodigano per il recupero della chiesa. Occorrono molti fondi perché le condizioni strutturali della chiesa sono talmente precarie che, se non si interviene con urgenza, il crollo diventa inevitabile. Nasce un comitato spontaneo, riconosciuto ed autorizzato dal Vescovo, che comincia l’autotassazione. Rosa Lamparelli mette a disposizione dell’iniziativa tutti i risparmi della sua vita. Il comitato si attiva nella raccolta dei fondi presso tutti coloro che condividono la  nobile causa. “Allo scetticismo di alcuni si oppone la generosità di molti”, che versano generosi e spontanei contributi. Alla fine si contano 300 milioni di lire. I lavori di consolidamento e di restauro della chiesa e del campanile iniziano il 24 agosto 1992 e si protraggono per due anni sotto la direzione della Soprintendenza ai Monumenti. Si provvede a rifare la copertura del tetto, il pavimento, i muri esterni, i banchi, a ripulire tutto. Il tempio torna a splendere dentro e fuori, e con una solenne celebrazione, il 5.12.1993, mons. Raffaele Castielli, Vescovo di Lucera-Troia, riconsacra ufficialmente al culto la chiesa. La vittoria della Beata Vergine si esprime nella grande gioia di Rosa Lamparelli e dei tanti fedeli che hanno risposto alla sua chiamata.

La chiesa, rinata a nuova vita. È oggi un’oasi di pace e di preghiera. In essa pare di rivedere, al suo solito banco, uno dei primi a destra, un’anziana e piccola donna, ricurva sotto il peso dei suoi anni. Recita il Rosario davanti alla Madonna che le apparve più volte e prega per i suoi figli spirituali. E’ sempre lei, Rosa Lamparelli, la grande benefattrice della chiesa di Santa Caterina.

Queste, in sintesi, le “mille storie” vissute dal complesso monastico di Santa Caterina, oasi di pace e di raccoglimento in un’epoca in cui la fede era più forte e più sentita, ma forse anche triste e solitaria prigione, dove la dura legge del fedecommesso relegò probabilmente qualche esistenza. Una Istituzione, in definitiva, che lo scorrere del tempo non può cancellare e che la mostra “Oltre la grata” allestita presso il Museo del Palazzo vescovile di Lucera, insieme al catalogo di Felicetta Di Iorio, una delle tante innamorate di S. Caterina, ci aiutano a riscoprire, a cominciare dall’interno dei nostri cuori.

 

Massimiliano Monaco

Centro Ricerche di Storia Religiosa in Puglia

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