Lucera, 02 Maggio 2024

Eccellenze lucerine a cura di Dionisio Morlacco ‘ Profili biografici: Francesco DE GIOVINE

Nacque a Lucera il 21 ottobre 1815 da Raffaele e da Angela Maria Gentile e morì il 13 ottobre 1866, a soli 51 anni, a Napoli, ove con grande lode ed onore ricopriva l’ufficio di Presidente di quel Tribunale circondariale.

Giovane brillante, di precoce ingegno e di forti studi, compiuti in privato collegio nella capitale partenopea, a 16 anni “sostenne con grande plauso il pubblico esame di lettere e filosofia e ne ottenne il diploma”. Indi, con robusta intelligenza e ferrea volontà, si diede agli studi legali e dopo tre anni si addottorò in legge; richiamato in patria dall’anziano padre, tornò a Lucera, dove con parola facile, con acuta perspicacia e stringente dialettica si diede ad esercitare l’avvocatura con grande successo, dimostrandosi nella sua professione amico del povero e soccorritore del bisognoso: “Giammai profittò delle discordie delle famiglie per sue private mire, ovvero usò di quell’ascendente morale che porta seco la conoscenza di recondito arcano”,1 invece “e l’amore, e la stima che egli seppe acquistarsi ancor giovane dagli anziani fu grandissima. Era ricercato dai coetanei, che ne amavano il dire, ne ammiravano le doti, facevano tesoro dei suoi consigli”.

Nel 1848, animato da ideali liberali, con altri generosi patrioti – Gaetano de Peppo, Carlo Prignano, Gaetano de Troia, Giuseppe Melchiorre -, fu in prima linea a cospirare contro la tirannia borbonica, ma tanto coraggio gli procurò l’interdizione dai pubblici uffici con suo grave danno: “mostrossi riscaldatissimo nel 1848 prendendo parte attiva in tutte le operazioni rivoltose. Predicò pubblicamente alla Guardia Nazionale diffondendo alla stessa li nastri tricolori”, “ma fu pure tra i primi segnati all’ira del restaurato governo, ed uno dei primi che ne risentì i colpi, poiché gli venne tolta la carica di giudice supplente, che per molti anni aveva con universale approvazione sostenuta, gli fu interdetto l’esercizio della professione, fu relegato nella sua provincia, e severamente inibito-gli di uscirne”.

Nel 1860 e nel 1861 fu eletto Deputato al Parlamento nei collegi di Lucera e di Manfredonia; ma dovette rinunziare a tale incarico per ragioni di famiglia: “ben conoscendo il grande compito, e la grande responsabilità di tale mandato, e non potendo per gravi affari di famiglia e luttuose circostanze allontanarsi di casa sua, ne declinò l’onore, con sommo dispiacimento dei suoi elettori e di quelli che personalmente lo conoscevano”.        

Alle ingrate fatiche del foro trovò sollievo nella poesia, forte, vibrata, appassionata, che nasce-va dal suo cuore per tante vicende, “or liete, or tristi”, in cui patria e società erano gli affetti che gli ispiravano i sentimenti. La letteratura era la passione del suo animo e fu letterato di buon gusto. An-cora giovane scrisse un dramma storico, Bianco capello (Napoli 1838) – che volle dedicare allo zio medico cav. Francesco Gentile -, con l’intento di compiere opera di educazione e di elevazione culturale, perché non vi erano “mezzi più rapidi del teatro, a propagare i lumi del sapere ne’ popoli” e ad “educare le menti dell’universale con sublimi intelligenze e a destare ne’ petti alti e generosi sentimenti”; alcuni anni dopo compose un altro dramma, La battaglia di Legnano (Napoli 1848), in cui storia e fantasia ben si compenetrano, e, calato nel tempo adatto alla sua comprensione, “si pose come fiaccola che rischiarando le glorie del passato, gittava fosca tenebrìa sulla vergogna del presente”. Il titolo La battaglia di Legnano fu usato “per significare sensibilmente come l’amore della libertà, e la carità di patria dischiudano in noi gli ascosi germi delle più grandi virtù di cuore e di mente; e come mediante quei nobili e santissimi affetti qualche fiata noi veggiamo e facciamo cose stupende sì da toccare la cima del soprannaturale” (questo il De Giovine scriveva nell’avvertenza “al leggitore”); ancora dopo scrisse il poema polimetro Roma antica e futura, che “canta le aspirazioni di tanti secoli, le speranze dei più generosi geni”, dedicato a Giuseppe Garibaldi, “che accolse la dedica e con nobilissima lettera ne ringraziò il De Giovine”. “E non solo come scrittore appalesò l’ardente suo animo cittadino ed il suo schietto sentir patrio, ma ancora nella sua vita pratica”. Reso-si meritevole per il suo impegno culturale fu dichiarato socio dell’Accademia Pontaniana, Cosentina e degli Eutelesi.

Nel 1861 ritornò definitivamente a Napoli, dove dal dicastero della Giustizia fu incaricato della compilazione del Regolamento sulla Cassa Ecclesiastica, e per i suoi indiscussi meriti fu nominato Presidente di quel Tribunale. Quivi si spense ancora giovane, compianto dai Magistrati e dagli innumerevoli amici e dai suoi concittadini. La sua immatura perdita “fu tanto più acerba, in quanto meno aspettata, ché la sua età e la sana complessione impromettevano qualunque lunghezza di anni. La fresca intelligenza, la instancabile volontà nei severi studi, il versatile ingegno nelle discipline del bello, facevano di lui attendere ben altre maggiori cose alla patria”. A lui Raffaele Nicoletti dedicò la stampa (1865) della sua tesi di laurea Della efficacia dei costumi sul Diritto Romano.2

Nel 1841 aveva sposato la giovane Giacinta Cesareo, donna di schiette virtù, di eletti esempi, da cui ebbe parecchi figli, e fu padre affezionatissimo, consorte amorevolissimo, amico leale e sincero.

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1. ENRICO NIUTTA, Raccolta di componimenti poetici in morte di Francesco De Giovine, Tip. Angelo Trani, Napoli 1868.
2. Al Cavaliere FRANCESCO DE GIOVINE – Vice-Presidente del Tribunale Circondariale – di Napoli – illustre uomo – cittadino della Patria benemerito – per dottrina e virtù singolarissimo – in omaggio di gratitudine e stima – l’autore consacra.

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