Lucera, 03 Maggio 2024

Eccellenze lucerine a cura di Dionisio Morlacco – Profili biografici: Alfonso de PEPPO

Alfonso de Peppo nacque a Lucera il 19 giugno 1886 da Federico e da Maria Serena di Lapigio (di Altamura). Compiuti gli studi superiori nel Liceo-Ginnasio “Bonghi”, passò a roma per quelli in giurisprudenza, laureandosi col massimo dei voti e la lode nel dicembre del 1908 insieme col fratello Ottavio.

     Pur coltivando con amore gli studi giuridici e letterari, non volle esercitare alcuna professione, del resto, la cura della vasta azienda agricola(Papaiorio) della famiglia – in cui più tardi (1932) istituì una scuola rurale per i figli dei contadini del Tavoliere – non gli lasciava tempo sufficiente per altri impegni, e tuttavia, per le sue capacità di ottimo amministratore, fu chiamato più volte a ricoprire incarichi pubblici, nei quali si distinse per correttezza ed onestà, come quando fu presidente della Società Operaia e vicepresidente della Croce Verde. Negli anni 1910-12 fu consigliere comunale per il partito liberale.

       Nel 1924 mentre Lucera, depauperata e menomata per la perdita del Tribunale, viveva un momento molto difficile, per volontà del fascio cittadino – nel quale de Peppo era inserito a pieno titolo, perchè nel fascismo vedeva lo strumento per assicurare ordine e giustizia sociale al Paese confuso e disastrato dalla guerra – fu candidato alle elezioni amministrative, riuscì eletto e fu acclamato sindaco della città.1 E come sindaco, per il risollevamento economico e morale di Lucera, sin dall’inizio affrontò con decisione i vari problemi, conseguendo non pochi risultati: l’istituzione della Colonia Agricola Luceria Nova per gli orfani dei contadini morti in guerra; la realizzazione della rete cittadina dell’acquedotto; l’assegnazione dell’Istituto Tecnico; il potenziamento dello scalo merci della ferrovia di Lucera; la sistemazione dei senzatetto negli edifici del Comune; la regolarizzazione dei dipendenti avventizi del Comune, ecc.

      Il clima generale della città, in verità, non era politicamente tranquillo, inquinato da sospetti e diffidenze, in un “groviglio di speranze e di timori, di interessi, di aspirazioni, di ripensamenti e stati d’animo, che caratterizzava la classe dirigente del paese e il partito fascista”,2 eppure de Peppo, affrontando tutti gli ostacoli, profuse un tale impegno per il bene di Lucera da conseguire l’apprezzamento del regime che lo volle membro del Direttorio provinciale e della Giunta esecutiva (1926).

      Ma un gruppo di accesi e turbolenti fascisti, intanto, brigando contro l’amministrazione e il sindaco, che accusavano di non seguire la linea del partito, riuscirono a provocare le dimissioni e la crisi, con evidente dispiacere dei cittadini. Con lui cadeva l’ultima amministrazione eletta democraticamente, cui succedeva l’amministrazione straordinaria del Commissario Prefettizio avv. Giuseppe De Peppo, valente penalista, anch’egli lucerino. Non passarono però che pochi mesi ed Alfonso de Peppo, per i suoi chiari meriti, per l’onorabilità della sua figura, per la rettitudine delle sue azioni, per l’integrità del suo carattere, potè trionfare sulle “vigliaccherie dei senza nome e gli egoismi dei servitori dei minori interessi”, perchè fu nominato Podestà di Lucera, acclamato e fatto segno del giubilo di tutta la cittadinanza. Nel discorso d’insediamento al Teatro Comunale (3.4.1927), invitando tutti alla collaborazione e dimenticando i contrasti avuti, dichiarò di “avere la meta e l’ambizione di fare del bene alla massa del popolo”. A segno della stima tributatagli e per celebrare il valore di quella nomina, i dipendenti comunali vollero offrigli un medaglia d’oro a ricordo.

        In questa seconda fase dell’impegno amministrativo di de Peppo Lucera visse un avvenimento di straordinaria importanza storica e sociale: il 19 giugno 1927 il segretario nazionale del partito on. Augusto Turati venne ad inaugurare la fontana dell’Acquedotto: alle ore 18,30 l’acqua del Sele zampillò per la prima volta dalla fontana di Piazza r. Bonghi, “fra la gioia di tutto un popolo”, fra un tripudio di gente plaudente,”contro gli scogli della vasca ruppe la rituale bottiglia di champagne l’eletta e leggiadra consorte del Podestà donna Olga de Peppo Cutolo”, che il de Peppo aveva sposato a Napoli nel 1915. E fu una giornata indimenticabile per i presenti, consegnata alla memoria dalle cronache, che riferiscono di altri successi del podestà: la trasformazione del Piano dei Puledri, che cominciò a diventare un fiorente quartiere; la realizzazione dell’amena passeggiata del Castello; l’impianto, appunto, della rete idrica e fognante; il regolamento per il funzionamento della Biblioteca Comunale “r. Bonghi”; la continuazione degli scavi al Castello; la difesa della Tenenza dei CC. e della Conservatoria delle Ipoteche e dell’Archivio notarile, minacciati di chiusura, il mantenimento della Casa di riposo fondata dalla madre, ecc.

      All’approssimarsi della scadenza del mandato podestarile, sentendosi stanco e bisognoso di riposo, de Peppo manifestò l’intenzione di voler lasciare l’attività pubblica; invano i suoi amici Francesco Lastaria, Giambattista Gifuni e Mario Prignano tentarono di dissuaderlo, nè ci ripensò quando ricevette l’atto di riconferma del prefetto (24.2.1932), al quale non restò che ringraziarlo per i circa otto anni in cui con zelo, disinteresse ed elevato spirito di abnegazione si era impegnato per il bene della città.

      Durante il secondo conflitto mondiale, fu componente attivo ed autorevole del Comitato di
Liberazione Nazionale lucerino e insieme a Giambattista Gifuni, Ercole Conti, Ettore Visciani, Pasquale Soccio, tutti animati da “una tradizione di valori civili e patriottici”, contribuì alla nascita del settimanale lucerino L’Azione Democratica (1944), “prima voce libera della Capitanata”, ove, con “notevoli articoli, affermandosi, anche per lo stile, scrittore forbito, lucido dialettico e lungimirante”,3 continuò il suo impegno politico e sociale, che si confermò attivo, prendendo parte alla vita del Partito Liberale a livello comunale e provinciale, più volte designato a rappresentare la sezione lucerina in congressi provinciali e nazionali.

      “Negli ultimi tempi, benchè minato precocemente nella salute e debole, si occupò in preferenza del problema dei giovani e della restaurazione ed unificazione del Partito Liberale di cui fu costante e disciplinato milite, nonchè dei problemi della Daunia, nei particolari riflessi della tanto discussa ed agitata riforma fondiaria”,4 della quale, “rivendicando allo Stato la facoltà di distribuire le terre fra le famiglie” ope legis, fece propri i principi della riforma nell’articoloLa terra a chi ne è degno,5 ove precisò che la riforma agraria doveva realizzarsi senza intaccare il diritto alla proprietà, nella quale riconosceva la suprema ricompensa del lavoro e delle virtù morali.

      A Napoli, dove intanto si era ritirato e donde veniva a Lucera nei mesi estivi, Alfonso de Peppo si spense prematuramente il 16 dicembre 1951, per un male incurabile che lo logorò per un anno intero.

      Come giornalista, apprezzato e stimato, appassionato, sensibile e colto, con stile limpido e li-neare, specchio di un pensiero solido, classicamente impostato, ma nutrito di moderne conoscenze, collaborò a non pochi giornali locali e nazionali (il Foglietto, Il Giornale d’Italia, Il Popolo di Capitanata, Il Nuovo Popolo di Capitanata, Il Saraceno, La Tribuna, Il Mattino, La Gazzetta del Mezzogiorno, L’Idea Liberale, L’Azione Democratica, Il Corriere di Foggia) e a qualificate riviste (La rassegna Pugliese,  rinascenza, Puglia, La Terra), occupandosi di politica, di economia, di problemi sociali, agricoli, amministrativi, di storia locale, con scritti sostenuti da una “cultura pronta e robusta, specie in materia amministrativa, nella cosa pubblica”. E in questa attività impersonò “la vera missione del giornalista: sereno, attivo e propugnatore del bene, mirante al bene del proprio paese, dei propri cittadini ed in particolare di chi soffre”.6

       Nella difesa dei diritti e degli interessi della città, che amava “con tutta la passione delle sue forze”, non ristette dalla legittima e vivace protesta, piena di sdegno, per il trasferimento del Tribunale di Lucera a Foggia (1923), nè temette di perdere la vicinanza e la collaborazione di Gabriele Canelli, deciso a sostenere in ogni atto il fascismo, sicchè de Peppo abbandonò Il Popolo di Capitanata, giornale che aveva fondato, appunto, col Canelli e con Francesco Piccolo. Epperò per questo suo coraggio “fu scomunicato e il suo giornale violentemente soppresso; eppure non se ne adombrò; sostituì il giornale”, dando vita a Il Nuovo Popolo di Capitanata,7 dalle cui pagine, forte del diritto della libertà di stampa, richiamò “al senso di civismo quei pochissimi cittadini rimasti insensibili al grido di dolore dell’intera cittadinanza”8 e continuò ad additare e a condannare “l’ingiustizia e la faziosità”, “i cento piccoli e grandi errori commessi” dal fascismo, che pure egli aveva auspicato, “con non mai smentiti sensi di patriottismo e civismo”. 

      “reo di amare Lucera” con animo aperto e di un amore sconfinato, fu deferito da “un improvvisato prefetto” al tribunale penale per pretestuosa trasgressione degli articoli 246 e 247 del C.P., ossia per offesa al capo del governo, ma “un magistrato onesto e sereno sentenziò che non vi era luogo a procedere”, tuttavia la violenza usata nei suoi confronti lo rese ancor più critico verso il fascismo, in cui vedeva annidati “l’illegalismo, il razzismo, il manganellismo”, e manifestò inequivocabilmente la sua delusione per le “innovazioni pompose o dannose create dal fascismo”, e plaudì al ritorno della rappresentanza popolare, affermando che sulla consultazione popolare doveva poggiare le sue basi il futuro governo democratico d’Italia, e i liberi Comuni dovevano costituire le cellule vive e vitali del nuovo organismo.

      Di fronte al pericolo dello strapotere di un partito confessionale, quale poteva diventare la Democrazia Cristiana, Alfonso de Peppo sostenne con vigore “l’innaturale dissidio tra Patria e religione, il contrasto tra le leggi e i fini della Chiesa e le leggi e i fini dello Stato non aveva ragion d’essere, se si voleva mantenere e rinsaldare l’unità della vita spirituale e politica”, che era “nei voti e nei programmi di tutti i partiti nazionali”. La “coscienza nazionale implicava ed importava la piena indipendenza dei diritti del potere civile di fronte a quelli del potere ecclesiastico”; lo Stato italiano, cioè, non poteva, nè doveva essere “direttamente o indirettamente subordinato ai voleri della Chiesa e del Papa, cui spettava il governo dello spirito”.9 Concetto ispirato da una visione laicistica del mondo politico ed economico, che non contrastava, tuttavia, col suo più puro e profondo sentimento religioso.

      Con uguale vigore attaccò il rigido dogmatismo comunista e l’illusione marxista “che il collettivismo potesse essere la forma sociale più adatta all’ulteriore progresso dell’umanità”.

      Tra i suoi vari scritti merita senz’altro un’attenta lettura l’introduzione (Libertà e legalità) che accompagna il libro Benemerenze e direttive del Partito Liberale, contenente alcuni significativi discorsi di Antonio Salandra.

      “Esempio di modestia e di grande cultura, mai si piegò al prepotere, ma solo con signorile gesto, in tutte quelle opere che avevano fine di bene e di carità. Ebbe un silenzioso amore per i poveri e per i bisognosi, per i quali prodigò l’opera sua senza manifestazioni pubblicitarie”.10 E per questo suo forte impegno sociale lasciò di sè un ricordo formato di così tenace ed affettuoso rispetto e devozione da raccogliere, alla sua morte, intorno alla sua salma tutti i palpiti e le vibrazioni dell’intera anima cittadina, senza distinzione di ceti, classi, partiti. Espressioni di unanime cordoglio furono i molti manifesti fatti affiggere dal sindaco, rag. Paolo Spina, dal locale Circolo della Stampa, dal Partito Liberale, dalla Federazione Agraria Provinciale e da associazioni e circoli cittadini.

            ________

              1. Alle elezioni comunali del 18 maggio 1924 fu eletto con 2768 voti su 3235 votanti e 4561 iscritti.

              2. renzo De Felice, Mussolini il Duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Ed. Einaudi Tascabili, Torino 1996, p. 18.

              3. Vincenzo Ciampi, Nel trigesimo di Alfonso de Peppo, su il Foglietto del 24.1.1952.

              4. Ibidem.

              5. Cfr. Il Popolo Nuovo del 29.5.1933.

              6. Pasquale Caso, Alfonso de Peppo, avvocato e giornalista, su Il Saraceno del 22.12.1952.

              7. Che vide la luce il 22 luglio 1923 presso la Tipografia di Tommaso Pesce.

              8. raffaele Giubileo, L’opera di Alfonso de Peppo in difesa della sua Lucera, su Momento Sera Corriere Pugliese       

                  del 19.2.1952.

              9. Alfonso de Peppo, religione e Patria, su Il Corriere di Foggia del 3.5.1948.

            10. P. Caso, art. cit.

        

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