Lucera, 03 Maggio 2024

Eccellenze lucerine a cura di Dionisio Morlacco ‘ Profili biografici: Michele DANDOLO

Il nome è di un uomo virtuoso, di un grande avvocato, quale fu Michele Dandolo (Lucera 3.6.1843-2.2.1916). Figlio dell’umile sarto Antonio e di Maria Luigia Di Gioia, fu avviato dal padre al sacerdozio; ma al termine degli studi clas­sici, smessi gli abiti talari, intraprese gli studi giuridici e si laureò a pieni voti a Napoli. Iniziò così il suo ministero di avvocato, rive­landosi in poco tempo figura splendida di oratore facondo, cui non difettava un'apprezzabile propensione letteraria.1 Penalista sempre calmo nelle arringhe, aveva una parola incisiva e convin­cente, elegante e precisa, affinata dallo studio dei classici. Ben presto il suo nome cominciò a risuonare nelle aule del Tribunale e della Corte d’Assise, raccogliendo il plauso e l'onore della provincia e, benché ancora giovane, fu designato per il Consiglio dell'Ordine degli avvocati, di cui fu membro per ben tre lustri, fu poi proposto all'ufficio di Vicepretore onorario, incarico che in quei tempi si concedeva ai più meritevoli e che il Dandolo assolse con modestia e con bontà.

“Michele Dandolo nelle sue arringhe si manteneva calmo, non aveva scatti violenti, ma la sua parola era incisiva, convincente e tale da sgominare gli avversari. Era uno studioso nel vero senso della parola; anche adulto oltre alle materie giuridiche, consacrava parecchie ore della sera allo studio dei classici italiani e latini”.2

Nel 1864 come docente di retorica sostituì Quintino D'Ercole nel ginnasio lucerino.3 Più volte fu eletto al consiglio comunale e nel 1889 fu anche assessore. Nel 1874 era consigliere comunale allorché si associò alla proposta Caso-Nocelli di assegnare un vitalizio a Giuseppe Garibaldi. Nel 1885nel libroLucera e la Corte d'Assise raccolse i suoi ricordi e le sue esperienze.Più volte Consigliere Provinciale (dal 1894 al 1914) e componente della Giunta Provinciale Amministrativa, quando con le leggi del 1888 e del 1890 essa fu investita della funzione di sindacato tutorio e giurisdizionale, e per circa tre lustri con unanime consenso fu Presidente della stessa Deputazione Pro­vinciale (1898)4 – dove portò “quella correttezza di amministrazione, che si faceva colà tanto desiderare” – e Ufficiale dell’Ordine della Corona d'Italia. Nel 1914 fu designato presidente della Croce Rossa. In queste pubbliche cariche servì il paese con solerzia, disinteresse e grande corret-tezza, “in una patriarcale acquiescenza, senza che altri ideali” lo scuotessero o gli rompessero “il sonno le grancasse innumerevoli d’innumerevoli aspiranti” che lanciavano “al pubblico mille pro-grammi in ogni colore e mille colori in ogni programma per un seggio a Montecitorio”.5

“Ingegno d’aquila e cuor di angelo” (Matteo Amicarelli), il suo "profilo spirituale e fisico – scriveva Alessio Milone – incastonato in un medaglione, potrebbe raffigurare il tipo leggen­dario del grande signore della toga. Sacerdote assiduo del tem­pio della casa, uomo schivo, raccolto e pensoso, lontano da ogni volgarità”. “Nell’ufficio pubblico il Comm. Dandolo è una competenza, nel Foro è un valore e nella vita privata un compìto gentiluomo; e, tanto in marsina che in toga o in veste da camera, è un tutto armonico ed equilibrato in una cornice rigidamente democratica”.6 Abbandonò i libri di diritto e cristianamente si diede a leggere un libro di Alessandro Chiappelli7 per avviarsi serena­mente al transito. Fu un innamorato della idea, un uomo di vivida cultura, alternante la materialità personale e politica col pensa­mento del filosofo. Alto, supremamente signorile, con una taglia, uno sguardo, un sorriso, uno spirito finemente aristocratico, con la eleganza composta del gesto e della parola, aveva veramente le physique du rôle del grande avvocato; e nei dibattiti penali era il cavaliere che toccava senza ferire, perché la figura del combattente era irradiata da una bontà che era quasi dolcezza. E Lu­cera era orgogliosa di lui. Magnifica figura umana, orgogliosa nel voler mantenere diritta la sua personalità morale, alta la bella fronte pensosa ed operosa, sdegnò allettamenti ed acquiescenza e non tollerò oblique infiltrazioni della politica nell'attività professionale".8

Maestro insuperato di quella eletta schiera di avvocati, che nella seconda metà dell'800 e nei primi anni del XX secolo ono­rarono il Foro lucerino, povero e onesto, morì come uomo giusto poco più che settan­tenne nel 1916 compianto da tutti. “La sua morte fu un lutto non solamente per il Foro, che vedeva abbattuta una delle sue maggiori colonne, ma anche e soprattutto per il paese e per l’intera provincia cui veniva meno uno dei suoi più benemeriti figli per ingegno, per operosità e per inoppugnabile onestà di vita. Si fecero rappresentare ai suoi funerali Sua Eccelenza Salandra, di cui Dandolo era stato devoto estremo sostenitore ed ammiratore, ed il Prefetto della Provincia. Innanzi al suo feretro tra la commozione generale furono pronunziati non pochi discorsi, improntati tutti ad un sentimento di vero dolore. Fu anche solennemente commemorato in Tribunale, nel Consiglio Comunale e in quello provinciale”.9

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1. Scrisse arguti sonetti. Nel 1888 in un poemetto esaltò il conferimento della Commenda della Corona d’Italia al cav. Alfonso de Peppo.

2. GIROLAMO PRIGNANO, Ricordi nostalgici, ms. Biblioteca Comunale di Lucera.

3. “Nel 1864 venne a sostituire il prof. Quintino d’Ercole nella prima classe del nostro Ginnasio, che io frequentavo, un pretino modesto e di una eccessiva bontà” (Ibidem).

4. Eletto consigliere comunale nelle elezioni generali dell'1.5.1870, fu confermato negli anni 1871, 1887, 1889, 1890, 1891, 1895, 1899, 1907. Fu chiamato a presiedere molte commissioni provinciali e comunali, tra cui la Croce Verde.

5. Da Michele Dandolo, in “La Busta” n. 18, 1900.

6. Ibidem.

7. Malinconico filosofo spiritualista italiano.

8.ALESSIO MILONE, Lucera nobilissima,Firenze, 1935.

9.GIROLAMO PRIGNANO, Ricordi nostalgici cit. Non potendo partecipare alle esequie – era in corso la guerra con l’Austria – Salandra scrisse: “Se imprescindibili doveri non mi tenessero così lontano, sarei venuto io stesso a dire ai   Lucerini quale concittadino essi abbiano perduto”.

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