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27 gennaio: la memoria è giustizia. Riflessioni de I Bonghetti




Istituito dieci anni fa, il Giorno della Memoria si celebra il 27 Gennaio poiché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta “Arbeit Macht Frei”, vi era l’inferno.
Auschtwitz, a partire dalla metà del 1940, consideratacomela perfetta “macchina” tedesca ovvero la soluzione finale del problema ebraico e di tutti coloro definiti inferiori.

Il  lavoro rende liberi.
È scritto in molte costituzioni, in molti modi, in molte forme.
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Arbeit Macht Frei, invece, è scritto sopra l'ingresso del campo di Auschwitz, così come anche a Dachau e in molti altri lager nazisti. Come un motto, un mantra, come il versetto di un vangelo o il comandamento scritto su una delle tavole.
Arbeit Macht Frei. Sono parole quasi confortanti, in quel tedesco aspro e perentorio che sembra da solo garantire la loro veridicità.
Arbeit Macht Frei. Una magnifica promessa. E in fondo chi mai avrebbe creduto se gli avessero detto che a pochi chilometri da casa sua centinaia di persone venivano uccise ogni giorno nelle camere a gas? Chi avrebbe voluto credere, se gli avessero detto che il lavoro – quel lavoro che doveva rendere liberi – era solo il risultato di studi scientifici e spietati su come sterminare interi popoli con la migliore efficienza tedesca?
Arbeit mach frei. Una delle bugie, forse la più grande, del regime nazista.

Ed era così facile crederci.
La stanza più brutta è quella delle scarpe e dei capelli. Le scarpe sono tante, troppe. Ce n'è una pila così alta che nemmeno si vedono tutte. Stanno lì, buttate, spaiate, vecchie di settant'anni, e la consapevolezza che a ognuna di quelle scarpe corrispondeva una persona, una persona morta, ti crolla addosso come un macigno.
Provi a contarle, ma non ci riesci perché sono troppe, e sai che forse sono solo un millesimo di tutte le scarpe che sono passate sotto l'arco di Arbeit macht frei. Sono scarpe povere, brutte, spesso con le suole sfondate. Non sono le scarpe degli usurai ebrei massoni e ricchi. Sono le scarpe di donne e uomini poveri e magri, affamati, spaventati, pallidi come la morte, scarpe di uomini e donne che sono morti, scarpe che hanno lottato per la vita nei ghetti e poi pregato per la morte nel fango di Auschwitz.
Te la facevano desiderare, la morte. In molti si suicidavano gettandosi contro la rete elettrificata. Milioni altri continuavano a sperare fino all'ultimo, e poi morivano lo stesso.
Nemmeno i capelli si buttavano: venivano tagliati ai cadaveri, appena usciti dalle camere a gas, e mandati in Germania alle industrie tessili perché ci facessero tappeti, stoffe.
Auschwitz,  né odio né razzismo né annientamento né follia.
C'era la ragione umana, senza veli e senza bestialità, tra i resti dei forni e delle camere a gas. C'era l'uomo, ad Auschwitz non l'animale.
La ragione, il fondamento su cui millenni di filosofia avevano posto i pilastri della natura umana e del conoscibile, era di colpo inconcepibile.
La ragione aveva ragione: la macchina della morte, Auschwitz, era perfetta. Nulla era sprecato, nulla era a caso, nessuna atrocità avveniva se non per risparmiare tempo, spazio, soldi, proiettili.
Auschwitz era la ragione umana portata ai suoi limiti estremi, ragione che non poteva essere capita.

Per non dimenticare! Arbeit Macht Frei… non quella di Auschwitz, ma il suo crollo e tutto ciò che ne è seguito, la consapevolezza che ogni uomo, donna, bambino, a prescindere dal colore, razza, sesso o religione, ha diritto alla vita, alla libertà di espressione…
 
I Bonghetti

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