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Eccellenze lucerine a cura di Dionisio Morlacco - Profili biografici: Francesco DEL BUONO

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Francesco Del Buono (Lucera 13.10.1787-28.11.1866), figlio di Lorenzo e di Antonietta Moffa, sin da giovane fu influenzato dagli avvenimenti della Repubblica Napoletana. Divenuto inviso al regime borbonico, perché, da acceso carbonaro, cospirava per la libertà “con animo ardimentoso, con nobile amore”, dovette abbandonare la sua terra “per volere dei tiranni” e, “come ogni libero spirito che ama l’indipendenza e la giustizia”, “per salvarsi da inevitabili persecuzioni e processi” fu costretto ad emigrare e visse esule in Grecia - dove insegnò grammatica della lingua italiana e si perfezionò nelle lingue greca e latina -, “peregrinando per le spiagge dell’Egeo, sui lidi dell’Attica antica, nel gran mare, per le isole disseminate nel suo seno, desiderando la patria”.1 Trascorsi parecchi anni di esilio, “decennale esilio in Grecia” scrive Gifuni, dopo aver “pagato il suo tributo di sacrifizio per aver amato e sognato il santo ideale della gente libera”, ottenne la grazia di ritornare in patria, “ove si trovò isolato senza tetto, perché i suoi genitori erano già morti, e fu ospitato amorevolmente dalla famiglia di Nicola Piemonte (1780-1854), cugino di suo padre, presso il quale dimorò per parecchi anni, fino a quando mise su una casa propria”2 e “visse insegnando agli altri con la parola e con l’esempio e fu maestro di lingua nella sua casa, ove convenivano i migliori giovani del tempo, fiduciosi dell’opera sua”, per i quali scrisse opere didattiche “che hanno il senso vero della conoscenza e della dottrina”3 e, come “caldo animatore di fede patriottica”, ad essi infondeva ardore di fede patria e ne formava le coscienze, preparandoli agli avvenimenti del ’48 con l’indomita speranza della libertà e della redenzione delle nostre genti.

       Questo è quanto scrive Nicola Piemonte di Francesco Del Buono, ma tale descrizione va integrata da altre interessanti notizie: innanzitutto l’attività patriottica di Del Buono non ebbe a svolgersi soltanto a Lucera, nella locale vendita Virtù Premiata - della quale certamente fece parte durante la sua presenza in Lucera -, bensì nella città di Brindisi,4 ove egli dimorava - forse perché mandato al confino? - già prima del 1818, anno in cui colà contrasse matrimonio con la giovanissima (non aveva ancora 16 anni) Maria Teresa Tommasina Passante: “D. Francesco Saverio Del Buono di anni trenta e mesi quattro, di professione proprietario, nativo di Lucera, domiciliato in questo Comune strada Granafei, figlio maggiore delli furono Lorenzo ed Antonia Moffa, e D. Maria Teresa Tommasina Passante di anni 15 e mesi otto di professione proprietaria, nativa e domiciliata in questo Comune strada Armengol, figlia minore assistita dal Sig. Giovanni Passante suo padre di anni quaranta di professione negoziante… il quale dà il suo consenso (al matrimonio) per essere morta sua madre Placida Demarco”;5 benché allo stato civile figurasse proprietario, è verosimile che svolgesse una qualche attività pubblica, forse di insegnante, dato che intratteneva relazioni con diversi personaggi del mondo della cultura di Napoli. Come socio “effervescente”, con il compito di Oratore, della vendita carbonara brindisina dei Liberi Piacentini, di cui era gran maestro Giuseppe Capece di Cisternino, svolse intensa attività di propagatore delle idee liberali e antiborboniche, soprattutto nell’anno dei rivolgimenti (1820) e per non cadere nelle maglie della giustizia tentò di fuggire (26.6.1821) con altri tre “compromessi” (Luigi D’Amico, il sac. Santo Chimenti e il gallipolino Francesco Bianchi) “su un trabaccolo greco battente bandiera inglese”.6 Ma il tentativo di fuga fallì, perché, avutone il sentore, la polizia si appostò per sorprenderli, e tuttavia i quattro riuscirono ad evitare la cattura e si dispersero. Del Buono tentò nuovamente la fuga, con successo, sicché abbandonata la patria fu costretto ad emigrare e visse esule in Grecia, mentre il suo nome continuò a permanere nella lista degli attendibili. Trascorsi parecchi anni di esilio ottenne la grazia di ritornare in patria, certamente a Brindisi, dove nacquero i figli Placida (1821), Amalia (1823), Lorenzo (1830), Giovanni Arcangelo (18.10.1832), Luigi Domenico (2.2.1835) e Maria Antonia Filomena (n. 1841), che a Lucera sposò (3.4.1861) Lorenzo Garzia di Manfredonia, allievo del padre.

Dal 20 dicembre 1845 prese ad insegnare rettorica ed eloquenza nel Real Collegio lucerino, ove dal 1850 divenne titolare della medesima cattedra; partecipò all’Accademia Letteraria Ferdinandea, che si svolgeva in Lucera, e fu socio dell’Accademia Pontaniana di lettere e scienze di Napoli. Amico di uomini insigni (il giurista Nicola Piemonte, il teologo Tommaso Vigilante, il chimico Gennaro Galano, il naturalista Nicola Tonti), nel 1847 decifrò e trascrisse in situ l’epigrafe della lex lucerina, allorché la relativa stele venne alla luce nel corso di uno scavo accidentale a Porta Troia, in merito alla quale tenne carteggio epistolare con Teodoro Mommsen.

Dal 1860 al 1865 - “benché vecchio mi fossi di anni e di scuola”, ma “considerato ottimo sotto tutti i rapporti”7 - insegnò lettere latine e greche nello stesso liceo. Nel 1864 dalla civica amministrazione ebbe affidato l’incarico di direttore della Biblioteca comunale. Fu insignito della croce di Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro dal governo di Vittorio Emanuele II.

L’interesse culturale di Del Buono - che caratterizzò la sua attività professionale, privata e pubblica, esercitata con notevole competenza - si concentrò essenzialmente su questioni linguistiche, in particolare sulla correttezza del parlare e dello scrivere, e in questo suo appassionato impegno non disdegnò di occuparsi anche della parlata popolare. Frutto dei suoi studi restano le interessantissime opere: Vocabolario di voci e di maniere errate (Napoli 1845),8 Fioretti grammaticali (Lucera 1851), Principi fondamentali di grammatica (Lucera 1857); scrisse anche Novelle per giovani (Napoli 1859).          

“La figura di Francesco Del Buono, dimenticata da molti, ignorata dai più, balza magnifica quale face perenne di patriottismo, di ingegno vivido, di attività benemerita, perché è nobilissima. Rivive l’esule, per amor di libertà e di patria, il maestro, studioso profondo di discipline educatrici; lo scrittore efficace e simpatico; il cittadino di costumi austeri, dai sentimenti semplici e sinceri, sdegnoso di popolarità e di pompa”.9 In suo onore fu creata la Società Letteraria Francesco Del Buono10 e la civica amministrazione nel 1870 volle designare col suo nome la strada in cui era nato.

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1. NICOLA PIEMONTE, Un’antica gloria: Francesco Del Buono, St. Editrice Frattarolo, Lucera 1924.

2. Ibidem, p. 9. G. PRIGNANO, Ricordi nostalgici, ms. della Biblioteca comunale. Ritornò a Lucera forse intorno al 1845; ci sembra errato, infatti, il suo ritorno nel 1848, come scrive Nicola Piemonte, perché contrasterebbe con l’affermazione del suo insegnamento ai giovani, che preparava, appunto, per il ’48, e con la sua trascrizione della lex lucerina fissata al 1847. Circa l’ospitalità ricevuta al suo ritorno a Lucera si impone qualche dubbio, poiché appare improbabile che dimorasse presso il parente con tutta la famiglia “per parecchi anni, fino a quando mise su una casa propria”. 

3. N. PIEMONTE, op. cit. “Queste parole io parlava a giovinetti che io avviava per le belle lettere”, così scriveva nei Fioretti grammaticali, p. 6. Tra i suoi alunni vi erano Giulio Pitta, Vincenzo Ottaviano, Carlo Fraccacreta, Davide Piemonte, Lorenzo Garzia, Francesco Di Giovine di Berardino, Pasquale Mosca, Antonio Salandra, Carlo Cavalli ed altri.

4. Cfr. MICHELA PASTORE, Settari in Terra d’Otranto, Centro studi salentini, 1964.

5. Archivio di Stato di Brindisi, Registrazione dell’unione in Serie Atti di matrimonio preunitari, b. 30, vol. 16, 1818.

6. Dalle carte di Polizia dell’Archivio Provinciale di Lecce, in “Rinascenza Salentina”, p. 132.

7. MICHELE D’AMBROSIO, Collegio-liceo e Università in Capitanata, Stab.  L. Cappetta, Foggia 1970, p. 220 e p. 289.

8. Il lavoro, ancora inedito, era già ritenuto “utilissimo lavoro” da EMMANUELE ROCCO (Propostina di correzioncelle al Gran Vocabolario domestico di Basilio Puoti, Tip. Dell’Aquila di V. Puzziello, Napoli 1844, p. 6): “del pari che allo stesso modo [utilissimo lavoro] può giudicarsi di un simile lavoro inedito del sig. Francesco del Buono da Brindisi, che spero debba presto venire alla luce. In tutti questi lavori, però, non vi ha a rincontro la voce del dialetto, fuorché in quello del sig. del Buono, il quale si propone di aggiungervela quando possa portare alla maggiore chiarezza”. Questo scriveva il Rocco nel suo saggio che era una rassegna di vocabolari “domestici” di più regioni.

9. G. PRIGNANO, Ricordi nostalgici cit.

10. La sede della Società era in un terraneo del palazzo Schiavone (poi Lastaria) in Piazza Manzoni (oggi via Pignatelli), la sua attività durò soltanto tre anni. Il 1° art. dello Statuto recitava: “È istituita in Lucera una Società letteraria sotto il titolo FRANCESCO DEL BUONO, per divenire ausiliare della scuola e della famiglia, e per preparare gioventù degna della patria. Ha per obbietto immediato il perfezionamento intellettuale e morale dei suoi membri”. I soci erano perlopiù giovani studenti: Michele Schiavone di Giuseppe, Vincenzo Cavalli di Michele, Michele Mosca di Francesco, Pasquale Mosca di Luigi, Alessandro Di Giovine di Raffaele, Luigi del Vecchio fu Luigi, Vincenzo Gifuni fu Ignazio, e ancora Rocco Montagna, Eduardo Fraccacreta, Ottaviano Carrescia, Raffaele Petrosillo; Celestino Summonte, Delfino Marano, Emmanuele Cairelli tutti e tre di Volturara; Giovanni Saitto di Poggio Imperiale, Carlo Rocco e Giacinto Rossi di Celenza; Carmine Ruggiero e Pasquale Scuglia di Rodi; Achille Veredice e Celestino Fascia di S. Marco La Catola; Michele Caggianelli di Volturino, Michele De Bellis di S. Marco in Lamis, ed altri.

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