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Lettera a una coetanea: il voto che da speranza a Lucera

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Riceviamo e pubblichiamo

Cara coetanea,
non basta essere giovani, l'ho capito in questi anni.
Un giorno di qualche mese fa, un amico mi ha detto che al posto di pensare alla politica, farei bene a imparare a giocare alla play station, oppure a farmi piacere il calcio. Perché poi, spento il televisore, tolti i calzini sporchi, vanno via anche le delusioni, le speranze e le paure. Conosco tanti della nostra età che si sono già venduti e non chiedono altro se non di poterlo tornare a fare. Giovani inconsapevoli o, peggio, ipocriti che sfruttano la maschera della gioventù ce ne sono fin troppi. Non basta quindi saper usare internet o i social network. Non basta essere giovani per proporre la speranza di un miglioramento. Così come non serve essere adulti per raggiungere la consapevolezza di quello che si sta facendo.

In realtà, non penso che Lucera abbia mai avuto un'opportunità simile. Qualcuno potrebbe dire che sto sognando ad occhi aperti, oppure che sono preso da troppa passione, ma di quello che faccio, io, ne sono veramente convinto. Ci siamo messi in testa una "rivoluzione" che è culturale, lo so. Perché, oggi come ieri, le clientele sono ovunque; in una città medio-piccola sono forse più radicate delle istituzioni stesse. È vero: stiamo provando a cambiare la cultura della gente, perché anche quelli che mi considerano uno sprovveduto e anche quelli che fanno quell'odioso sorrisino quando gli parlo di cose che dovrebbero interessargli, possano cambiare idea. Di questo ne sono pienamente cosciente. Così come sono consapevole della difficoltà del nostro compito; non ho mai pensato che la strada da percorrere fosse in discesa... ma un palco pieno, la piazza colma di gente per una manifestazione elettorale ad ancora troppi mesi dalle elezioni, io non l'avevo mai vista. Sono ancora troppo giovane però... è successo il 22 dicembre scorso e questo mi dà coraggio.
Ricordo le facce di amici che sono andati via al grido di "qua ne n' ce sta nint!" perché, meno fortunati di me, non sapevano cosa fare per campare, così come conservo, stampati nella mente, i volti che stanno rubando il futuro di più generazioni. È vero, sarebbe assurdo pensare di nascere, vivere e morire sempre nello stesso posto, senza mai spostarsi. Io vorrei, però, che partire fosse una scelta di ognuno di noi e non un obbligo. Questa città ha perso tanti anni, forse troppi. Ha già perso molte menti che sono andate via, oppure che sono nate altrove o che non sono mai nate, visto che di madri e di padri se ne vedono sempre meno. Ma questo non significa che tra quelli rimasti non possano esserci i migliori. Ti scrivo perché credo che la sensibilità di un giovane deve essere maggiore di quella di chi ha qualche anno in più.

Tre anni fa mi sono accorto che all'interno del castello, il nostro castello, qualcuno aveva pensato di poterci costruire qualcosa che assomigliava a un luna park, sfidando qualsiasi norma di buon senso e incoraggiati da una qualche idea che ancora oggi faccio fatica a comprendere. Capii allora che non potevo restare a guardare, contattai degli amici e formammo un gruppo con il quale riuscimmo a scongiurare quella barbarie. In quell'occasione mi avvicinai al movimento politico di Antonio Tutolo che, a differenza di altri che avrebbero voluto farci salire sul loro palco sotto l'effige della loro bandiera, ci aiutò ad avere le "carte" necessarie a conoscere il progetto, senza chiederci o "offrirci" nulla in cambio. Dopo quell'esperienza ho iniziato a prenderci gusto e a sentire la necessità di dovermi informare. E più conosco i fatti e più mi indigno. Ho preso a seguire i consigli comunali (a volte anche da unico testimone) e ho capito che la politica non è quella che vedo in quelle occasioni, dove alcuni consiglieri nemmeno entrano in aula e dall'uscio della porta fanno cenno al segretario di essere presenti, perché poi gli spetta il gettone di presenza; oppure di altri che, seppur seduti in aula, al momento del voto chiedono al vicino: "che amma vutà?" e dopo alzano pure la mano; o di quelli che vanno via dall'aula perché è nell'aria l'ennesimo rimpasto di giunta, quindi perché "vogliono garantita la loro visibilità" (si dice così no?!), fanno mancare i loro voti; o di quelli che negano, davanti all'evidenza di un'interrogazione o di una qualsiasi discussione, i loro palesi errori.

Ho capito che la politica vera è quella che parla, che non ha paura di alzare la voce in pubblico. La politica vera si ingegna per risolvere i problemi di tutti e non solo quelli di qualcuno. Ho capito che la politica vera è bella. È bella perché anche solo passare delle ore al freddo, dietro un banchetto, a raccogliere firme, ti fa sentire importante. Ti fa sentire utile a qualcosa, a qualcuno. La politica vera ti fa crescere e, da che mondo è mondo, è la politica che contribuisce maggiormente a scrivere la storia.
La nostra, di storia, domani potrebbe dirci che abbiamo avuto torto, oppure ci parlerà di un "virus" che si è diffuso talmente tanto da essere riuscito a liberare la città da una asfissia che stava per diventarle letale. Non so cosa succederà domani. Di certo, se qualcuno tra un po' di anni mi chiederà cosa facevo mentre la città moriva, potrò rispondergli di non essere stato a guardare. Non so nemmeno se le mie sono solo illusioni. "Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor di più) nella rigida e nojosa indolenza." Penso però che oggi ognuno debba mettersi in gioco, sentirsi partecipe, accettare e affrontare la sfida. Se senti anche tu il profumo della primavera che sta arrivando a spazzare via "il puzzo del compromesso morale" da questa città, ci fosse anche solo una possibilità di riuscirci, devi crederci, aprire gli occhi, e ci devi provare.

Con la speranza
Biagio De Maso

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