Lucera, 09 Dicembre 2024

Storia di Lucera (Capitolo 18): Lucera sotto gli Aragonesi.

Alla morte di Alfonso I d’Aragona (27.6.1458) gli successe il figlio Ferrante, contro il quale si mosse Giovanni d’Angiò, duca di Calabria e figlio di Renato, vantando diritti di successione. Egli, con l’appoggio dei genovesi e dei baroni a lui favorevoli (il principe di Rossano, il duca Giovanni Coscia, ecc.), entrò nel napoletano, sbarcando nella marina di Sessa. Subito l’Abruzzo e la Capitanata – tramite il governatore Ercole d’Este, che voleva vendicarsi di Ferrante, perché gli aveva preferito il rivale Alfonso d’Avalos – fecero atto di fedeltà, non solo, perché Ercole d’Este guadagnò alla causa angioina anche il fratello Breso, conte di Modena, e il capitano d’armi, conte Giovanni Piccinno. Da Sessa passò in Teano e poi volse verso Lucera, nella cui fortezza organizzò le sue forze. Luigi Minutolo, capitano del castello lucerino, fece atto di sottomissione. Sull’esempio di Lucera, anche altre città (Troia, Foggia, Sansevero, tutto il Gargano) si dichiararono per Giovanni, che a Lucera ricevette gli omaggi di numerosi duchi e principi.75 Spostatosi poi in Terra di Lavoro, per altre sottomissioni, Giovanni venne a battaglia con Ferrante e lo sconfisse; così quasi tutto il regno tornò nelle mani degli angioini.     

        Ferrante, però, non si rassegnò: e avuti rinforzi dal papa Pio II e soccorsi dai napoletani – commossi dalle querimonie della moglie Isabella – con l’aiuto anche di Alessandro Sforza, Giovanni di Conti e Pietro di Somma, nel 1461 cominciò a recuperare le terre perdute: l’Abruzzo, la Calabria, la Basilicata, ecc. Ricevuti altri rinforzi dal duca di Milano, capitanati da Marco Antonio Torello e Pietro Paolo Aquilino, venne in Puglia e si unì ad Antonio Piccolomini, nipote del papa. Tutto l’esercito si accampò presso Troia, compiendo scorrerie e saccheggi. Poi si spostò verso Volturino, ove restò in attesa del momento opportuno per piombare su Lucera, in cui si era trincerato Giovanni d’Angiò, ma non riuscendo in questo intento si volse verso Foggia, dove incontrò la resistenza di Ercole d’Este, allora occupò San Severo e cercò di guadagnare alla sua causa il duca di Torremaggiore, Carlo di Sangro; questi, però, non nutrendo fiducia in Ferrante, si rifugiò in Lucera e si unì a Giovanni. Ferrante decise allora di assoggettare il Gargano e coi tesori di Montesantangelo fece battere moneta, che fu detta de’ coronati di Sant’Angelo.

         Dopo aver sottomessa gran parte del regno Ferrante tornò in Puglia per avere definitivamente ragione di Giovanni d’Angiò. Durante il percorso occupò Accadia – che punì per la sua precedente avversità – e Orsara, feudo del duca Coscia, poi si accampò presso Troia, da cui non erano distanti le truppe angioine, con le quali venne a battaglia, uscendone vittorioso. Gli scampati e i fuggiaschi angioini si rifugiarono in Troia.

         Mentre gli aragonesi erano cocupati a far bottino sugli estinti, il capitano Piccinno tentò di assalirli di sorpresa, e quasi ci riuscì, ma Ferrante riportò la seconda vittoria. Dopo questi fatti tutto il regno cadde nelle sue mani.

         Giovanni d’Angiò e il Piccinno riuscirono a fuggire da Troia e a riparare in Lucera, donde si diressero verso Manfredonia, poi andarono a Trani e a Taranto. I troiani, intanto, memori dei maltrattamenti subiti dal loro vescovo Lombardi da parte del duca Coscia, gli si ribellarono, e il Coscia si dovette trincerare nel castello. Ne uscì per consegnarsi come prigioniero a Ferrante, che, però, lo mandò libero. Foggia, San Severo, Ascoli, Lesina, Serracapriola si consegnarono a Ferrante, ma non Lucera, la quale, simpatizzando per l’angioino, gli si oppose e resistette all’assedio (1463), finché il re, visto vano l’assedio, si volse verso Manfredonia e di lì passò in Terra di Bari. L’anno dopo, poiché Giovanni d’Angiò tornò in Provenza, donde era disceso, Lucera, per intermediazione di Giorgio Scanderberg, si consegnò a Ferrante.

        Sotto Ferrante Lucera non trovò particolari sofferenze; soffrì, invece, per un disastroso terremoto, che arrecò notevoli danni al castello, che fu abbandonato. Il re, che già aveva confermato alla città tutti i suoi privilegi (4.2.1459) ed aveva approvato la ripartizione del libero terraggio, teneva in grande considerazione il suo vescovo, Pietro Ranzano, palermitano dell’ordine dei Predicatori, uomo emerito per carità cristiana e per dottrina nelle lettere e nelle scienze, tanto che alle sue cure affidò l’educazione del figlio Giovanni, che poi divenne Cardinale.

         Nel 1484 ci fu a Napoli un generale parlamento, cui parteciparono i sindaci delle principali città del regno, chiamati ad esporre le necessità e i bisogni dei sudditi. Il sindaco di Lucera, Giuliano Falcone, in quell’occasione rivolse diverse petizioni, cui il sovrano diede soddisfacimento col diploma del 22 novembre 1484: data la penuria dei viveri, per lo scarso raccolto, fu decretato che la città avrebbe venduto al re la metà (150 carra) di grano che soleva vendere e che l’importo fosse subito pagato per metà dalla Dogana e per metà fosse detratto dai tributi fiscali che essa corrispondeva all’erario; che si pagasse ai cittadini il grano venduto l’anno precedente e fossero restituiti i pesi esatti indebitamente; che fossero restituiti i crediti che la città avanzava per gli argenti requisiti nelle chiese e per il denaro prestato per la spedizione contro i Turchi e contro i Veneziani; che il sale fosse venduto non più a cinque ma a due coronati, ma in cambio di questa agevolazione la città doveva corrispondere, a titolo di pesi fiscali, non più 815 ducati bensì 900; che il Baglivo, incaricato delle esazioni, non poteva durare in carica più di tre anni e che, per il reincarico, dovevano intercorrere tre anni; che i giudici annuali e i mastrodatti dovevano rendere conto della loro amministrazione e quindi essere sottoposti a sindacato; che i gravami contro le sentenze dei bajuli dovevano essere portati a conoscenza del capitano della città e non del portolano o segreto di Barletta o Trani, per eliminare gli incomodi e dispendi, dovuti alla lontananza; che le tasse per la vendita del grano e per il trasporto a Napoli non gravassero solo su Lucera, Foggia e San Severo, ma proporzionalmente su tutte le città della provincia.

          Morto Ferrante nel 1494 gli successe il figlio Alfonso II, sovrano pavido che alle minacciose rivendicazioni sul regno avanzate da Carlo VIII, re di Francia, che accampava la successione a Renato d’Angiò, non seppe far altro che abdicare in favore del figlio Ferrante II, il quale, a sua volta, scappò a rinchiudersi in Ischia, allorché Carlo VIII scese nel regno. Ma, poiché il re francese dovette subito far ritorno in Francia, lasciò il regno nelle mani dei suoi generali Gilberto Montpensier e Virginio Orsini.

          Erano quelli tempi di gravi distruzioni nelle città e devastazioni nelle campagne e di endemiche penurie per l’asfissiante pressione fiscale, perciò il re Ferrante non potè assoldare truppe e mercenari e dovette chiedere aiuto ai veneziani, accettando la loro eccessiva usura. I veneziani, insieme al prestito di quindicimila ducati, gli inviarono settecento uomini al comando del marchese di Mantova e altrettanti mastrodatti e tremila fanti. In cambio Ferrante si impegnava a restituire duecentolima ducati e, per intanto, cedeva in pegno le città di Otranto, Brindisi, Trani, Monopoli e Polignano. Altri aiuti gli giunsero dal duca di Milano e da Francesco Gonzaga, che venne di persona. Si vennero a fronteggiare due eserciti: a Foggia si accampava Ferrante, mentre i generali francesi erano a S. Severo. Una parte dell’esercito di Ferrante difendeva Troia e un’altra parte era in Lucera. Nel fiume Celone 700 tedeschi che andavano ad unirsi a Ferrante furono assaliti e trucidati dai francesi, i quali imbaldanziti da questa scaramuccia sfidarono in battaglia Ferrante, ma questi con accorta tattica riuscì a stancarli, per cui dovettero volgere altrove. Ne approfittò l’aragonese che venne a Lucera, e per ringraziare i lucerini dell’aiuto prestato donò al capitolo e al clero una prestazione annua di 25 carra di sale dalle saline di Manfredonia. Poi si volse ad inseguire il nemico e in Atella di Basilicata lo sconfisse, tanto che i francesi abbandonarono il regno.   

          Il 7 ottobre 1496 moriva Ferrante II, ma, poiché non aveva eredi, il regno passò allo zio Federico d’Aragona, secondogenito di Ferrante I.

          Questo principe, amante dell’arte, della caccia e della campagna, tenne in grande considerazione la città di Lucera, ove dimorò a lungo, perché qui trovava soddisfazione la sua grande passione. Da Lucera emanò non pochi diplomi, alcuni favorevoli alla stessa città.

          Ma Ludovico II d’Angiò successore di Carlo VIII, messosi d’accordo con Ferdinando d’Aragona, re di Spagna, venne a rivendicare il regno di Napoli e riuscì a spodestare il debole e infelice Federico, che fuggì in Tours, dove morì. L’accordo tra i francesi e gli spagnoli non durò a lungo e le due fazioni vennero a lite e l’esercito dei francesi fu sconfitto presso Cerignola, dopo di che il regno passò agli spagnoli.

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75. Giovanni Caracciolo Duca di Melfi, il fratello Giacomo Conte di Avellino, Giorgio della Magna Conte di Buccino, Marino Caracciolo Principe di Santobuono, Giovanni Antonio Orsino del Balzo Principe di Taranto, Giulio Acquaviva Conte di S. Flaviano ed altri.
a cura di Dionisio Morlacco 
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