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Vangelo della Domenica

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XXIX Domenica nell’Anno -  di Luciano Manicardi (Comunità di Bose)
 
Il vangelo di questa domenica è incorniciato da un riferimento alla preghiera (v. 1) e da uno alla fede (v. 8). In effetti, preghiera e fede stanno in un rapporto inscindibile: credere significa pregare. E come noi possiamo pregare solo grazie a una fede viva, è anche vero che la nostra fede resta viva grazie alla preghiera. Gesù continua a parlare loro con una parabola che vuole inculcare la necessità della costanza e perseveranza nella preghiera. Per questo racconta la parabola della vedova che continua a chiedere giustizia con ostinatezza a un giudice iniquo. L’insegnamento di Gesù: se perfino il giudice disonesto ha fatto giustizia alla donna per la sua insistenza, “Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?”.
 
Innanzitutto dalla parabola emerge che la preghiera rende forte una persona debole. Una vedova è in una posizione sociale ed economica non solo irrilevante, ma anche esposta a soprusi, abusi ed egoismi da parte di persone prepotenti. Una donna vedova è senza difesa e personifica la debolezza e la dipendenza. La vedova subisce ingiustizia da parte di prepotenti  e nell’assoluta indifferenza di chi dovrebbe assicurare la giustizia. La vedova va avanti con l’insistenza, l’ostinazione. La costanza della donna diviene insegnamento circa la potenza della preghiera. Infatti, la preghiera può tirar fuori da una persona una forza e un coraggio che la persona da sé non si saprebbe.
 
L’ostinazione della donna rivela un altro elemento importante della preghiera: la sua perseveranza, il suo non venir meno. La preghiera abbisogna di tempo. La preghiera è chiamata a divenire quotidiana, quasi fosse il respiro della fede. Facendo eco all’esortazione di Paolo a “pregare ininterrottamente” (1Ts 5,17), Gesù dice questa parabola per indicare la necessità di “pregare sempre”, e aggiunge “senza stancarsi mai” (Lc 18,1). La vedova della parabola non si lascia scoraggiare dalle mancate risposte, dai silenzi, dalla percezione di rivolgersi a una volontà decisa a non fare ciò che lei chiedeva. E non smette di insistere. Ci sono situazioni di ostilità aperta o latente che stancano, che tolgono forza e motivazioni, che inducono la tentazione apostatica, di abbandono, ed ecco che nella preghiera insistente e perseverante le ostilità portate da altri e da situazioni esterne (come nella nostra parabola dall’avversario e dal giudice iniquo) diventano l’occasione per trovare saldezza nel Signore. Non negli altri, ma nel Signore.
 
Luca avverte: abbandonare la preghiera è l’anticamera dell’abbandono della fede. La fatica di perseverare nella preghiera è la fatica di dare del tempo alla preghiera, e il tempo è la sostanza della vita. Pregare è dare la vita per il Signore.  La preghiera esige coraggio. Il coraggio della fede che conduce a non lasciar perdere, a non tralasciare, a non dire: “Non serve a nulla”.
 
Alla luce di queste considerazioni sulla preghiera si comprende che pregare senza venir meno alla fatica e alla gioia della preghiera è semplicemente una necessità vitale. Grazie ad essa, la nostra esistenza quotidiana viene inserita nella storia di salvezza, nella storia cioè che la fede ci dice essere guidata da Dio. O meglio, grazie alla preghiera, noi prendiamo coscienza che la nostra quotidianità, così intersecata con vicende di male, di banalità, di non senso, di mediocrità, può trovare un senso nella più ampia storia che Dio conduce con noi e con il mondo. La preghiera accorda il nostro respiro al respiro di Dio.

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