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Femminicidio: meccanismo acuito dalla pandemia. Nota e poesia sul femminicidio in pandemia da Pasquale Zolla

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L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia ha aumentato maggiormente il rischio di violenza sulle donne in quanto, quasi sempre, questa viene consumata all’interno delle mura domestiche.
Troppe donne hanno perso la vita per mano di compagni, amici, familiari a causa di una mano armata dall’odio verso le donne. Stiamo assistendo a una recrudescenza di sessismo, razzismo, misoginia.. È qualcosa di palpabile di cui la società è tremendamente pregna e che sono aumentati nel corso della pandemia.
Il Covid-19 ha reso evidenti quali e quanti sono ancora i limiti che impediscono una piena realizzazione del ruolo della donna nella nostra società. È necessario investire sull’educazione e soprattutto aiutare gli uomini, che si macchiano di queste violenze, a prendere consapevolezza.

È necessario che istituzioni e politica facciano fronte comune per contrastare il seme del male che cresce in maniera incontrollata nelle nostre famiglie, a scuola, sul lavoro, nelle istituzioni.
Oltre alla volontà politica di contrasto alla violenza, occorrono risorse da destinare a progetti di sensibilizzazione e formazione che accompagnino uomini e donne nel percorso della vita.
Abbiamo bisogno di partire dall’abc delle relazioni, dai concetti più elementari, imparando fin da piccoli strumenti utili per riconoscere ed esprimere le emozioni, condurre i rapporti sani e liberi, gestire i conflitti, elaborare rabbia e frustrazione.
Cominciamo col dire a chi amiamo: Ti voglio bene, col significato di: Voglio il tuo bene. Sarà il primo passo per combattere la violenza sulle donne, mostrandoci veramente loro amico.

Te vòghje béne
Te vòghje béne. Trè sèmblece paróle
‘a kuje degnetà ‘nnarrevable éje.
Avastarrìje u dì a tuttekuande kuille
ka béne vulime pe file da tòrce
dà a rembiande è remurze. U béne éje
fatte de kulure è rerute juste,
mane tése p’ajutà, rècchje ka sèndene
è passe ka, kuanne sperdute se éje,
ce arrepòrtene sóp’a strata juste.
Éje penzà k’u kòre, vjaggià k’a mènde
è sènde ke l’alme. Spisse se dice te
vòghje béne skurdanne ka segnefekéje
vòghje u béne tuje. Sènza ‘mmidje, sènza
judizje, sènza gujìsme. Arrekurdamece
ka ce stace sèmbe nu kraje è u kambà
sèmbe dace ‘n’ata uppurtenetà  pe fà
béne i kòse, ma si se sbaghje è u presènde
tuutekuille éje k’arrumane, sendì
dece pjaciarrìje: Te vòghje béne!

Ti voglio bene
Ti voglio bene. Tre semplici parole
la cui dignità è inarrivabile.
Basterebbe dirlo a tutti quelli
che amiamo per filo da torcere
dare a rimpianti e rimorsi. Il bene è
fatto di colori e sorrisi giusti,
mani tese per aiutare, orecchie che ascoltano
e passi che, quando si è smarriti,,
ci riportano sulla strada giusta.
È pensare con il cuore, viaggiare con la mente
e  ascoltare con l’anima. Spesso si dice ti
voglio bene dimenticando che significa
voglio il tuo bene. Senza invidia, senza
giudizio, senza egoismo. Ricordiamoci
che c’è sempre un domani e la vita
dà sempre un’altra opportunità per fare
bene le cose, ma se si sbaglia e il presente
è tutto ciò che resta, sentir
dire piacerebbe: Ti voglio bene!

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