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La morte e il funerale di Carnevale con poesia da Pasquale Zolla

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Il Martedì, ultimo giorno di Carnevale, è detto grasso, come il precedente giovedì, semplicemente perché in questi giorni, prima ancora della mia fanciullezza, si mangiava in abbondanza, per eliminare cibi come la carne, per entrare nel periodo della penitenza alimentare.

È il giorno, infatti, precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l’inizio della Quaresima che porta alla Pasqua.

È, quindi, il giorno in cui si chiudono i festeggiamenti carnevaleschi.

A Lucera, ai tempi della mia fanciullezza, il mattino ben presto, in molti rioni comparivano tavole imbandite, ad indicare il godimento delle gioie terrene, con un fantoccio fatto di paglia con un corpo immenso, una pancia enorme per l’abbondanza del cibo ingoiato, gambe ciondoloni e grosse, un cappello e il viso sporco di sugo e sporcizia di indigestione, ma che denotava pace, riso e allegria.

Era rivestito con abiti comuni dalle più svariate fantasie: c’era anche chi gli faceva indossare un frac con fiore all’occhiello, chi un abito consumato o un pigiama o abiti di lavoro.

Alcuni mettevano anche un calamaio a fianco alla mano destra che aveva una penna con la quale aveva stilato un testamento, scritto con particolari progetti e speranze futuri che si dovevano rispettare. In esso c’era scritto ciò che lasciava, quasi niente se non le misere cose che indossava e le misere cose poste sulla tavola: scodella, cucchiaio, occhiali, pipa… affinché la gente del rione o del quartiere potesse dirgli di riposare in pace per quanto aveva loro lasciato e lo terminava sperando di avere reso tutti felici e contenti.

La sera, con l’accendersi dei lampioni, per le strade e le piazze veniva portato in spalla da quattro baldi giovanotti, incappucciati e vestiti a lutto, il fantoccio sdraiato su di una tavola, qualcuno usava la bara per rendere più veritiero il corteo funebre, accompagnato dal lamento funebre delle prefiche.

C’era chi lo portava anche seduto su di una sedia o usava come carnevale un baldo giovanotto avente in bocca spicchi d’aglio che, con la testa che usciva dal feretro, camminava con i suoi piedi, per cui si vedeva solo la testa.

Il feretro era seguito da ragazze e giovanotti vestiti a lutto che imprecavano e lanciavano urla di dolore per la morte di carnevale e spesso facevano finta di strapparsi i capelli.

Poco prima della mezzanotte veniva letto il testamento e poi lo si bruciava, come capo espiatorio di tutti i mali.

Il mattino dopo per tutti i quartieri e le piazze comparivano le quarantane, con quattro piume di gallina, che venivano tolte ogni dieci giorni, ad indicare il tempo della Quaresima!

U nzengaminde de Karnuale
Martrdì grasse! Karnuale mòre!
Vèrze u tarde d’u dòppemagnà
i fèmmene appreparene u murte
sóp’a ‘na tavele de nireve
vestute è subbete dòppe
k’i kapille sciute ò’ katafarke
s’avvecinene è, vattènnese
mbitte, a lukkule sciambrate
de delòre s’abbannònene,
a kuje siguete fanne, kuanne
u katafarke ngulle véne misse
a kuatte juvenòtte ngappucciate
pe jì p’i strate è i chjazze
d’u pajése, i lagne funerarje
chjìne de delòre p’a perdute
d’u lòre amate bbundembòne.
“Karnuale mìje kare pekkè
sì murte? Ne nde mangave ninde
è sì murte k’a freccine ‘m’mane
tramènde t’abbuffave. Fòrze
ngurpe sì sckattate p’ u tròppe
magnà nguzzate. È mò ìje
kume fazze sènze i skèrze
è l’allerìja tuje?” Chiagne
è se desespére ‘a gènde
tramènde akkumbagne u murte
vèrze ‘a fanòje pe ghèsse arze.
Kuannèkraje, p’u suvravvenì
d’a Kuarèsme, gnune a kambà
arreturnarrà penzanne ò’ ‘vvenì
è skurdannese d’u inzengaminde
d’u murte Karnuale de “Kambà
nd’u presènde pe nen murì kume
si ne nze fusse maje kambate!”

L’insegnamento del Carnevale
Martedì grasso! Carnevale muore!
Verso il tardi pomeriggio
le donne preparano il morto
su di una tavola a lutto
listata e subito dopo
con i capelli sciolti al feretro
si accostano e, battendosi
il petto, a disordinati gridi
di dolore si abbandonano,
a cui seguito fanno, quando
il feretro viene issato sulle spalle
di quattro giovanotti incappucciati
per attraversare strade e piazze
della città, i lamenti funebri
colmi di dolore per la perdita
del loro amato buontempone.
“Mio caro Carnevale perché
sei morto? Non ti mancava nulla
e sei morto con la forchetta in mano
mentre ti abbuffavi. Forse
sei schiattato in corpo per il troppo
cibo ingoiato. E ora io
come faccio senza i lazzi
e la tua allegria?” Piange
e si dispera la gente
mentre accompagna il morto
verso il rogo per essere bruciato.
L’indomani, col sopraggiungere
della Quaresima, ognuno a vivere
tornerà pensando al futuro
e dimenticandosi dell’insegnamento
del morto Carnevale di “Vivere
nel presente per non morire come
se non si fosse mai vissuto!”

Pasquale Zolla

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