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2 Novembre: giorno dei morti. Nota e poesia di Pasquale Zolla

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Il 2 Novembre, giorno dei morti, è la festività che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei defunti.

Una festa accompagnata da tradizioni in tutte le Regioni d’Italia, che mi piace ricordare.
La notte tra l’1 e il 2 novembre, in alcune zone della Lombardia si usa mettere in cucina un vaso di acqua fresca perché i morti possano dissetarsi.

In Friuli si lascia un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane.
Nel Veneto, per scongiurare la tristezza, nel giorno dei morti i fidanzati offrono alle promesse spose un sacchetto con dentro fave in pasta frolla colorata, detti: ossa da morti.
In Trentino le campane suonano per molte ore a chiamare le anime che si dice si radunino intorno alle case a spiare alle finestre. La tavola si lascia apparecchiata e il focolare resta acceso durante la notte.

In Piemonte e in Val d’Aosta le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero.

Nelle campagne cremonesi ci si alza presto la mattina e si rassettano subito i letti affinché le anime dei cari defunti possano trovarvi riposo. Si va, poi, per le case a raccogliere pane e farina con cui si confezionano i dolci detti: ossa dei morti.

In Liguria si preparano fave secche, fichi secchi e castagne bollite che vengono date ai bambini che si recano di casa in casa per ricevere il bene dei morti. Poi dicono le preghiere e i nonni raccontano storie e leggende paurose.

In Umbria si producono dolcetti devozionali a forma di fave, detti: stinchetti dei morti, che si consumano per mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezza dei cari che non ci sono più.

In Abruzzo, oltre al tavolo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alle finestre, tanti quanti sono i cari defunti e i bambini si mandano a letto con un cartoccio di fave dolci e confetti come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti.

In Sicilia per i bambin buoni, mentre sono a letto, vengono preparati pupi e bambole di zucchero, con castagne, cioccolatini e monetine e li nascondono. Al mattino i bambini vanno alla ricerca perché sono certi che i morti, usciti dalle bare, hanno portato loro dei doni.

In Sardegna i ragazzi si recano di casa in casa per chiedere delle offerte e ricevono in dono pane fatto in casa, fichi secchi, fave, melagrani, mandorle e uva passa. La sera della vigilia si accendono lumini e si lascia la tavola apparecchiata e le credenze aperte.

A Roma si consumava il pasto accanto la tomba di un parente per tenergli compagnia.

In Puglia, a Lucera, si raccontava che la notte tra l’1 e il 2 novembre, i morti uscivano dalle bare e si radunavano in cattedrale per poi passare tra le strade e fermarsi nei pressi della loro abitazioni per portare ai piccoli dei doni. Veniva messa una calza vicino ai camini e al mattino si trovava piena di melacotogne, melagrani, noci, castagne, mele, pere, mandorle.

Ai ragazzi che durante l’anno non si erano comportati tanto bene, soprattutto nello studio, la calza si trovava piena di carboni.

Ai ragazzi veniva detto che la calza era stata riempita dai «cari defunti» usciti dalle loro tombe in occasione della loro festività e, appena alzati, prendevano la prendevano e andavano in giro per il quartiere canticchiando: ‘A kavezètte de l’aneme i murte, addefriscke* tutte i murte (ki t’è mmurte). = La calza dell’anima dei morti, siano benedetti tutti i morti (chi ti è morto).

*addefriscke (rinfresca) è qui figurato come: rimenbra, ricorda.

Inoltre veniva e viene preparato un dolce: i ciccekutte, consistenti in: grano tenero (bianchetta) messo a bagno per almeno 24 ore e poi cotto e condito con vincotto (o miele), mandorle tritate, melagrano, melacotogno, noci tritate e (oggi) cioccolato fondente fatto a dadini.

curiosità: I ciccekutte rappresentano la vita che rinasce nell’aldilà; u granate (il melograno)  l’immortalità e l’abbondanza; u vinekutte (il vincotto) l’amicizia, la compagnia e il flusso della fecondità femminile.

 
U rekurde lóre pessèmbe kambarrà
Kuanne ce lasse ‘na perzòna kare,
kuanne nge stà chjù akkuà è nen putime
chjù a tukkà ò sendì ‘a vòcia suje,
pessèmbe skumbarute assemègghje.
Ma nu ‘ffètte sengére nen murarrà
maje. U rekurde d’i perzòne
ka ce sònne state kare kambarrà
pessèmbe dinde i kure nustre:
chjùffòrte de kuarzìjeze avvrazze,
chjù mburtande de kuarzìjeze paróle,
pekkè sònne state ‘a kòse chjùbbèlle
ka ce putèsse maje akkapetà
nd’u kambà nustre. U rekurde lóre
ne nze putarrà maje skangellà
da dinde è kure nustre pekkè sònne
è ssarranne sèmbe dinde i penzire
nustre è ddinde i lagreme nòstre.
U kambà avvecine a lóre éje
state akkume a nu sunne luvére,
è akkume a tuttekuande i sunne
spisse a karte kuarandòtte sònne jute
tròppe priste, ma u béne ka ce hanne
arrjalate pessèmbe arrumanarrà
pekkè sapime k’a l’ate ce stanne.
Mò, p’a fèsta lóre, annanze è lóre
sebbuleke, tra i fjure k’appapòscene
è i lagreme ka nfume se ne vanne,
pe l’alma lóre ‘na grazjòne decime
ka da Dìje arrekute venarrà!


Il loro ricordo vivrà per sempre
Quando ci lascia una persona cara,
quando non è più qui e non possiamo
più toccarla o sentire la sua voce,
sembra scomparsa per sempre.
Ma un affetto sincero non morirà
mai. Il riordo delle persone
che ci sono state care vivrà
per sempre nei nostri cuori:
più forte di qualsiasi abbraccio,
più importante di qualsiasi parola,
perché sono state la cosa più bella
che potesse mai capitarci
nella nostra vita. Il loro ricordo
non si potrà mai cancellare
dai nostri cuori perché sono
e saranno sempre nei pensieri
nostri e nelle nostre lacrime.
La vita vicino a loro è
stata come un vero sogno,
e come tutti i sogni
spesso si è infranto
troppo presto, ma il bene che ci hanno
regalato per sempre rimarrà
perché sappiamo che ci sono a fianco.
Oggi, per la loro festa, davanti ai loro
sepolcri, tra i fiori che appassiscono
e le lacrime che evaporano,
recitaimo per le loro anime una preghiera
che da Dio raccolta verrà!

Pasquale Zolla

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