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Il prete oggi, sì ma quello della porta accanto

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La scena è quella di sempre, quasi un rituale. Quando giunge la notizia che un giovane (o una giovane) ha scelto la vita consacrata, in genere i genitori dell’interessato sono destinatari di grandi momenti di felicitazioni, che vedono animatrice la folta schiera dei credenti e, soprattutto, quella parte  che, come si dice, annovera soprattutto coloro che frequentano la Chiesa. Si è soliti dire: beati voi che avete un figlio (o una figlia) che ha scelto la via del Signore! Siete dei genitori fortunati. Quando, poi, uno di costoro ha  la …fortuna di avere lo stesso dono, le cose cambiano!
Su quella famiglia spesso cade il lutto, spesso al suo interno sorgono pericolose contrapposizioni, perché sopravanzano le convinzioni secondo cui la vita va vissuta veramente solo se si raggiunge il traguardo matrimoniale, anche quando i giovani non lo desiderano. Insomma, tutti vogliamo i preti belli, colti, sempre disponibili, ma soltanto se provengono dalla porta accanto!  Quando il problema ci tocca direttamente si vanificano tutte le certezze, tutte le preghiere rivolte al Signore non hanno più senso (“Signore manda santi sacerdoti e ferventi religiosi nella tua santa Chiesa”), tutti gli egoismi di parte vengono alla ribalta.

Chi scrive ha qualche titolo per affermare che spesso le maggiori difficoltà nascono proprio in famiglia, quando un giovane manifesta l’intenzione di donarsi al Signore. Con la aggravante - lo dicevamo prima - che frequentemente queste famiglie si ritengono allineate agli insegnamenti della Chiesa. E’ fin troppo evidente che una vocazione trova il suo terreno fertile soprattutto in famiglia, specie se i suoi componenti hanno un comportamento coerente, tale da incoraggiare i figli ad intraprendere la sequela del Signore.
Ecco perché  il ruolo della famiglia trova larga considerazione nella dottrina della Chiesa, famiglia che viene considerata cellula importante per la società non solo dal punto di vista generale, ma soprattutto - è ovvio - per  animare il campo vocazionale.
Sì, d’accordo, anche le parrocchie, i gruppi di preghiera o di spiritualità, le associazioni cattoliche e via di seguito hanno un compito importante in questo campo, ma non v’è dubbio che il ruolo stimolante e più qualificante del nucleo famigliare è insostituibile.

E’ qui che i giovani possono trovare il primo input  per un scelta vocazionale  seria. Ma non basta. Una volta che si è in presenza di tale scelta, non cessa - come si crede - il ruolo della famiglia. Anzi, il giovane va sostenuto ed incoraggiato, aiutato a superare quelle difficoltà che sono proprio fisiologiche nella fase di crescita.
Sostegno che psicologicamente significa anche condivisione della scelta, perché il giovane ben sa che gli orientamenti dei genitori e parenti sono ben altri e che la sua decisione in qualche maniera può arrecare ragioni di delusione rispetto ai programmi immaginati e ricorrenti.
Ecco perché i genitori  soprattutto  devono  mostrarsi convinti e contenti della strada intrapresa dal figliuolo, che, tra l’altro, umanamente non ha altri affetti al di fuori del suo ambito famigliare. Insomma, occorre evitare l’isolamento.
E’ fin troppo evidente che la testimonianza dei genitori è importante nel momento essa si proietta all’esterno, è significativa nei confronti di quei giovani che intendono consacrarsi al Signore, ma che forse non hanno la forza e la convinzione necessarie per fare il grande passo.
Non solo per questo. Il comportamento dei giovani avviati alla vita sacerdotale o religiosa è certamente elemento stimolante e convincente per  avvicinare alla Chiesa tante persone che si trovano in una condizione  di incertezza o che, comunque, non riescono a trovare  al loro interno quella giustificazione di fondo per avvicinarsi al Signore.
Diciamo questo  per lamentare che spesso le famiglie vivono al  margine rispetto alla scelta del figlio o della figlia, in una sorta di limbo che rende il loro comportamento senza sale. E, invece, la scelta  di vita consacrata di un figlio deve riempire di gioia.
Donarsi al Signore, servire il Signore nella totalità della propria esperienza terrena deve essere considerato un fatto, una chiamata che va interpretata come un privilegio e non come un ripiego o delusione. Vedere il proprio figlio al servizio completo degli altri, vederlo celebrare sull’altare al momento della consacrazione, vederlo fare la guida spirituale per  tante persone spesso in difficoltà è la migliore ricompensa che il Signore può dare ai genitori. Davvero!

Antonio Di Muro

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