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Storia di Lucera: considerazioni su Federico II

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Concludiamo il viaggio nella storia di Lucera e delle sue origini ad opera di Nando Carrescia.

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Su pochi personaggi del medioevo i giudizi sono stati cosi contrastanti come su Federico II. I suoi seguaci lo celebravano come il principe della pace, i suoi antagonisti invece lo condannavano come un ateo che non credeva alla risurrezione e al giudizio divino, come un tiranno. Anche tra gli storici i giudizi sul personaggio e sulla sua politica sono contrastanti, Nicolai de Jamsilla scrisse che: «Fu certo uomo di grande cuore, ma temperò la sua magnanimità con molta saggezza che ebbe dentro di sé, casi che mai lo spinse a fare alcunché la precipitazione, ma sempre si accinse con ponderato calcolo ad ogni sua cosa. Certo avrebbe fatta cose più grandi di quelle che fece se avesse potuto seguire gli impulsi del sua animo senza il freno della filosofia. Poiché egli era amante della filosofia, che coltivò egli stesso e fece diffondere nel sua regno. […] Tanto ornò ed onorò la giustizia che a nessuno fu vietato contendere in giudizio addirittura con lo stesso imperatore per il proprio diritto ed egli non si prevaleva dell’altezza del potere imperiale, in moda da essere uguale davanti alla giustizia con colui che seco contendeva...».

Invece, G. Villani scrisse: «…Questo Federigo regnò trent’anni imperadore, e fu uomo di grande affare e di gran valore, savio di scrittura, e di senno naturale, universale in tutte cose; seppe la lingua latina, e la nostra volgare, tedesca, e francese, greco e saracinesco, e di tutte virtu di capioso, largo e cortese in donare, prode e savio in arma, e fu molto temuto. Fu dissoluto in lussuria in più guise, e tenea molte concubine e mammalucchi a guisa de’ Saracini: in tutti i diletti corporali volle abbondare, quasi vita epicurea tenne, non facendo conta che mai fosse altra vita; e questa fu l’una principale cagione perché venne nemico de ’ cherici e di Santa Chiesa».

Infine H. A. L. Fisher: «Dalle nubi della calunnia dei contemporanei, la figura di Federico II ultimo imperatore medievale, emerge appassionata e audace, con superiorità impressionante: padrone di sei lingue, poeta lirico alla maniera calorosa dei siciliani, munifico protettore di architetti, scultori e dotti, abile soldato, statista d ’infinita sottigliezza e risorse, ma anche di grande, spensierata audacia. […] ma dagli altri grandi uomini della storia, Federico si distingue perché non ha patria […] nessuna nazione può legittimamente considerare Federico come parte del suo patrimonio […]. La più grande forza umana individuale del medioevo passa nella storia come una meteora che brilla e scompare. Soltanto nella sfera della letteratura ebbe forse importanza durevole...».

Federico II, ereditando dalla madre il regno normanno dell'Italia meridionale e dal padre quello dell'Italia settentrionale e la Germania, unì i due regni ed ebbe due obiettivi primari: il primo fu l'eliminazione di tutte le autonomie dei comuni e signorie al nord, mentre al sud di impedirne la nascita. Federico II aveva una concezione politica tradizionale tesa a ristabilire l’ordine nell’ lmpero, cioè a riaffermare l’autorità regia ed imperiale richiamandosi esplicitamente alla situazione dei suoi predecessori, Federico I Barbarossa nell’Impero germanico, Guglielmo II nel regno di Sicilia. Il secondo obiettivo fu la lotta contro il potere spirituale e materiale del Papa che era di grande ostacolo al suo assolutismo. Nasce con lui la figura del principe che accentra nelle proprie mani tutto il potere e lo esercita per mezzo di funzionari da lui stipendiati; un potere assoluto, che non ricerca investiture o sanzioni ecclesiastiche, ma trova ragione e giustificazione in se stesso, per cui rifiuta qualsiasi intromissione della Chiesa nelle faccende dello Stato. Nello scontro con la Chiesa, Federico seguì l’esempio dei re normanni di Sicilia: Ruggero II, ad esempio, non si era mai piegato al Papa, pur riconoscendo la sua autorità. Accanto ad una concezione politica tradizionale, conservatrice, Federico II aveva delle aperture mentali eccezionali; l’eredita normanno-meridionale, di una cultura profondamente influenzata da tradizioni ellenistiche ed arabe, spiega questa grande apertura: l’interesse per la filosofia, per le scienze naturali e per l’antichità; per la sua formazione culturale, egli era quindi diverso dai suoi antenati, anche se in alcuni settori delle sue attività si muoveva sulle tracce dei suoi grandi predecessori. Federico era un uomo che per alcuni aspetti guardava più indietro che avanti e per altri viceversa. Tradizionale, conservatrice era senz’altro la sua concezione politica di base, il tentativo di portare impero e regno allo stato di fine secolo XII.
Senz’altro innovativa era la sua politica economica e la sua apertura verso gli arabi e gli ebrei. Erede della tradizione di governo dei suoi avi normanni, che in Sicilia avevano favorito la pacifica convivenza di popoli diversi per razza, lingua, religione, si mostrò tollerante verso ogni cultura e fede religiosa, accogliendo indifferentemente alla sua corte dotti cristiani, ebrei, musulmani, ma perseguito duramente gli eretici (catari, patari, valdesi) come ribelli della Chiesa. Nel campo dell’economia Federico si sforzo di potenziare le attività mercantili ed industriali del regno, ma le sottopose ad uno stretto controllo fiscale, per garantire alle casse dello Stato dei regolari proventi.
Per quanto riguarda Lucera, la città non può troppo facilmente appropriarsi l'esclusiva delle simpatie di Federico II. Per prima cosa, all'arrivo dei saraceni la popolazione locale venne maltrattata, espropriata e cacciata dalla città con l’autorizzazione di Federico, ed é bene spendere qualche volta una parola a difesa di costoro che per calcoli politici superiori o per ragion di stato si trovarono coinvolti in una "pulizia etnica" nel cuore della cristianità. Rimase solo un gruppo di cristiani con il Vescovo e una statua della Madonna nei pressi delle mura della città; cittadini cacciati, chiese distrutte e depredate; qualcuna trasformata in postribolo (tra cui l'attuale chiesetta di Sant'Antonio) oppure servirono a costruire il castello di Federico o abitazioni saracene. Il risultato fu questo: cittadini scacciati per dare spazio ai saraceni, diecimila di questi erano il nerbo portante delle sue truppe, patrimonio storico scomparso e cattiva fama per la città stessa che non aveva bisogno di essere abitata da predoni per divenire famosa essendo gia abbastanza conosciuta per ben altri meriti. Nei settant'anni di occupazione saracena la città divenne famosa per un triste primato: da lei partivano le truppe di Federico con le quali l'imperatore metteva a ferro e fuoco l'Italia intera. Troia e città limitrofe distrutte da Federico; Barletta sede di alcuni ordini templari, fu rasa al I suolo. In questo periodo Lucera fu la piazzaforte della sua politica militare; senza gli arabi non avrebbe potuto attaccare il potere spirituale e politico del Papa in Italia e la politica e ricchezza del Comuni. La signoria angioina nell’Italia meridionale corrisponde senza dubbio ad un periodo di decadimento per quei territori, le cui sorti non riuscirono più a venire risollevate dalla dinastia illegittima aragonese.
Le ragioni di tale decadenza sono molteplici e non tutte imputabili ai nuovi padroni, i quali cercarono spesso, sebbene con scarsi risultati, di opporsi al lento disfacimento del loro Stato. Una prima ragione di debolezza per la nuova signoria si ha nel modo stesso con il quale si costituì. Gli angioini, infatti, forestieri chiamati in Italia dai papi e rimasti vincitori mediante l’aiuto di questi, se da un lato non ebbero mai da sostenere con i pontefici le guerre in cui rimasero annientati gli ultimi svevi, ebbero, però, in essi tutori molesti che portarono loro vantaggi assai scarsi. Dall’altro lato, dovettero riconquistare la fiducia dei nobili, traditori degli antichi sovrani, con benefici di ogni genere. In questo modo, mutata la politica dei loro predecessori, tornarono a restituire al feudalesimo tutta la forza che aveva perduto nella lotta con i discendenti del Barbarossa. Alla nobiltà del luogo se ne aggiunse una straniera e peggiore, venuta dalla Francia con i nuovi signori: la monarchia quasi assoluta sotto gli svevi, divenne apertamente feudale sotto i suoi successori, ed il potere regio perse la maggior parte della sua forza.
Nonostante i suoi difetti, non si può dire che il governo degli angioini sia stato totalmente cattivo; i sovrani diedero spesso prova di molta saggezza nel promulgare in favore dei loro sudditi leggi che, ben eseguite, avrebbero potuto assicurare una base incrollabile per la nuova signoria. Quel che mancò fu per lo più la forza materiale per fame rispettare gli ordini; in questo modo, molti provvedimenti, utili in se stessi, finirono col riuscire poco efficaci. Fra questi ci furono i vari tentativi fatti per favorire le città demaniali rimaste nelle varie province, verso le quali i sovrani si mostrarono larghi di estesi privilegi, destinati a promuovere lo sviluppo del ceto medio: fra queste città vi fu Lucera.

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