Storia di Lucera - I saraceni in Sicilia

Continuiamo il viaggio nella storia di Lucera e delle sue origini ad opera di Nando Carrescia.
Per farlo al meglio leggi tutti gli articoli correlati alla Storia di Lucera
Dal Mito di cui abbiamo spiegato ampiamente il senso entriamo ora nella fase storica di Lucera, introducendo l’arrivo dei Saraceni.
CAPITOLO I
I saraceni in Sicilia, lotta con i normanni e gli svevi, la loro sconfitta.
Intorno alla metà del IX secolo, l’Europa si trovò assediata da incursioni di nuovi barbari e dall’Islam. Dal Nord i normanni, da Est gli ungari e gli slavi, dal Sud i saraceni.
Sull’Italia meridionale la minaccia si abbatté da parte dell’Islam: berberi, agareni, ismaeliti, saraceni, così variamente vennero denominati dalle fonti latine le bande che si gettarono all’assalto muovendo dalla Sicilia, dalle coste settentrionali dell’Africa e dalla Spagna. Nell’813 i saraceni (così furono chiamati gli arabi in Occidente) fecero la loro prima apparizione sulle coste tirreniche, spingendosi dalla Sardegna a saccheggiare Centocelle.
La conquista della Sicilia rappresentò il culmine dell’espansione musulmana nel Mediterraneo: operata a partire dall’827, con lo sbarco a Mazara di truppe composte da arabi, berberi e ispano-musulmani, fu il frutto di una lunga guerra combattuta contro l’impero bizantino.
Le prime località conquistate furono: Biscari, Palazzo, Chiaromonte; nell'859 fu la volta di Cefalù, nell'864 venne conquistata la città di Noto e, nell'878, cadeva Siracusa dopo un assedio durato decine di anni. La conquista dell’isola era compiuta; i saraceni non conquistarono che città decadute dall'antica grandezza.
La Sicilia fu la prima sede di un emirato dipendente dalla dinastia tunisina degli Aglabiti, fondata dall’emiro Ibrahim al — Aghlab, poi fu provincia indipendente con una propria dinastia, quella dei Fatimi. Fra il 948 e il 1053 si impose in Sicilia la dinastia Kalbita, dotata di ampia autonomia e creatrice di una civiltà fastosa. Ma la fine dell’unità politica é segnata, dopo il 1053, da turbolente lotte tra emiri e guerre fratricide che sconvolsero il mondo musulmano e furono causa della sua decadenza.
L’unita politica si viene frazionando tra i vari kaid (condottieri).
Questo quadro politico si contrappone ad un significativo sviluppo economico, conseguente sia l’introduzione di nuove tecniche agricole ed artigianali, che allo sfruttamento commerciale della posizione centrale occupata dalla Sicilia nel Mediterraneo.
Nel IX secolo, forti della loro superiorità marittima, i saraceni erano arrivati, oltre che a conquistare la Sicilia ed a isolare la Sardegna, a costituire un emirato a Bari (840-870), a istallarsi alle foci del Garigliano nel basso Lazio e da qui a compiere scorrerie contro Roma, ed a insediarsi a lungo in Provenza. Tuttavia, quasi contemporaneamente,inizia la riscossa dei paesi cristiani.
In Sicilia è la richiesta d’aiuto ai normanni ad avviare la fine del dominio musulmano. I normanni erano giunti in successive ondate nell’Italia meridionale già dalla prima metà dell’XI secolo. Noti per lo spirito d’avventura e l’abilita che dimostravano in guerra, i normanni ottennero la prima vittoria a Melfi; questa conquista aprì loro la strada verso la Puglia e la Calabria. Tra le file di questi soldati c’erano gli undici fratelli Altavilla con i loro seguaci; tra questi vi era Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo (l’astuto). Per aprirsi la strada verso la Sicilia aveva necessità di una legittimazione che poteva venirgli solo da una delle due autorità universali: l’Impero d’occidente e il Papato, con il quale i rapporti divennero ben presto decisivi.
Nel 1059, il Guiscardo sottoscrisse l’accordo di Melfi con Papa Niccolò II ottenendo l’investitura di duca di Puglia e Calabria, con l’obbligo di riconoscersi suo vassallo e difendere i territori pontifici, mentre il fratello Ruggero assunse nello stesso anno il titolo di futuro duca di Sicilia. Questo accordo è la premessa del progetto di conquista della Sicilia.
Benché iniziata da Roberto, la conquista rimane soprattutto opera di Ruggero. Questa comincia nel 1061, quando Ruggero vi sbarca e ne occupa la parte orientale, attorno a Messina. In quel periodo i saraceni erano in contrasto con gli emirati indipendenti di Mazara, Girgenti e di Siracusa. Furono i musulmani di Catania e di Siracusa a dare appoggio a Ruggero d'Altavilla per la conquista di Messina (1060-1061). Ruggero si fermò a Troina e ne fece sua capitale (1064). Fu nel corso di un decennio che i normanni si dotarono della flotta che li avrebbe condotti alla conquista di Palermo.
Dopo le prime imprese, svolte tra il 1061 e il 1064, la conquista procedette in maniera difficoltosa, sia per la resistenza di Castrogiovanni, dove l’emiro Ibn al-Hawas guidava la difesa nella valle di Enna, sia per la partecipazione di Ruggero alle campagne di Puglia del fratello Roberto. La conquista della Sicilia ricevette un nuovo e decisivo impulso soltanto nell’agosto del 1071, quando i normanni riuscirono ad assediare Palermo che capitolò il 10 gennaio 1072, in seguito all’attacco congiunto di Roberto e Ruggero, che entrarono nel porto della città con l'esercito in massa oltrepassando le difese della Kalsa.
Vennero restituiti beni ed autorità all’arcivescovo di Palermo, che aveva mantenuto vivo il culto cristiano, mentre gli arabi continuarono ad occuparsi del commercio, restando nel quartiere della Kalsa sino al porto. In questa occasione, il duca Roberto conferì a Ruggero il titolo di conte, affidandogli tutta la Sicilia a feudo, tranne Palermo e Messina, in possesso congiunto. Seguì una lunga guerra d’assedio, prima alle città costiere che ricevevano l’appoggio dell’Ifriqiya (l’attuale Tunisia), poi a quelle del centro dell’isola. Dello svolgimento delle operazione abbiamo poche notizie: negli anni 1075 - 1077 vi fu l’avanzata in Val di Noto a Sud, quindi in Val di Mazara e sulla costa occidentale; nel 1079 i normanni rinforzarono le zone orientali conquistate a sud di Messina. Nel 1085, alla morte di suo fratello, Ruggero rimase l’unico artefice della conquista. Dopo molte ostilità, causate dalla risposta araba organizzata dall’emiro di Siracusa, nel 1086 caddero Castrogiovanni e Girgenti; infine, nel 1091, vi fu la conquista portata a termine quando cadde Noto ultima roccaforte saracena.
Alla morte di Roberto il Guiscardo, il dominio normanno risulta così diviso: la parte continentale del mezzogiorno nelle mani dei suoi eredi diretti, la Sicilia (eletta a contea fin dal 1072) a Ruggero I granconte, fidato vassallo del fratello.
Morto Ruggero 1, nel 1130, gli succedette il figlio Ruggero II che uni la Sicilia ai possessi normanni dell’Italia meridionale ottenendo il titolo di re di Sicilia e di Puglia (poiché si era estinta la dinastia di Roberto il Guiscardo) e riorganizzò amministrativamente l’isola dandole un saldo potere centrale e facendone il fulcro della potenza mediterranea della stirpe normanna. Il sovrano fondò un regno molto prospero, riuscendo a conciliare l’elemento arabo con quello cristiano. Regnò per ventiquattro anni, durante i quali riassettò il sistema burocratico e amministrativo, potenziò la flotta, ampliò i commerci e rese florida l’agricoltura. Grande merito di Ruggero II fu il regime di tolleranza da lui voluto nei riguardi dei saraceni, lasciando loro le terre coltivate e la possibilità di seguire il proprio culto e le proprie leggi. Rese possibile la politica della tolleranza fra i popoli (arabi, bizantini, ebrei e latini) nel rispetto dei costumi, delle fedi religiose e delle varie culture. Egli restò comunque fedele alla cristianizzazione perseguita dal padre Ruggero.
Guglielmo I, detto "il Malo", succedette al padre Ruggero II, ma il suo regno fu offuscato da congiure baronali e repressioni spietate. A soli 46 anni, nel 1166, mori e la regina Margherita assunse il trono fino al raggiungimento della maggiore età del secondogenito, Guglielmo II detto 'il Buono' apprezzato per la sua tolleranza. Questi fu incoronato re nel 1171.
Alla sua morte, nel maggio 1189 a soli 36 anni, non vi è un erede diretto o designato; sono due i pretendenti alla corona di Sicilia: il cugino Tancredi, figlio illegittimo di Ruggero II, ed Enrico VI (figlio dell’imperatore germanico Federico I Barbarossa) sposo di Costanza d’Altavilla (figlia di Ruggero II) sposata due anni prima.
Morto Guglielmo II, la corona della Sicilia passa legittimamente dalla monarchia normanna a quella sveva. Durante il regno di Enrico VI in Sicilia, i saraceni non si ribellarono in attesa di una rivoluzione politica che abbattesse l’aristocrazia normanna.
L'instabilità, aggravatasi con la morte di Enrico VI avvenuta nel 1197 a Messina, era destinata a durare a lungo. Il figlio e successore di Enrico, Federico, ha tre anni e rimane affidato alla madre Costanza che, accantonando il testamento del marito che chiamava alla reggenza il gran siniscalco imperiale Marcovaldo di Anweiler, si accorda prima con il Papa Celestino III, poi con Innocenzo III.
Riconoscendo la supremazia del Papa, conclude un concordato nel quale rinuncia all’impero per conto del figlio, la cui reggenza viene affidata al Papa. Il 17 maggio, 1198 Federico viene incoronato re di Sicilia nella cattedrale di Palermo, all’età di quattro anni; Costanza muore il 27 novembre dello stesso anno e Innocenzo III - Lotario dei Conti di Segni - diventa il tutore del sovrano. Incaricati della sua educazione furono i vescovi delle diocesi del Regno di Sicilia ed in particolare Gualtiero di Pagliara, vescovo di Troia in Capitanata. In virtù di ciò, i saraceni divennero aggressivi. Forti infatti erano i timori che il Papa sarebbe divenuto il padrone della Sicilia e che loro sarebbero stati banditi per sempre dall’isola. Innocenzo III, nel fedele esercizio della sua funzione di tutore del re, cercò, con promesse e minacce, di tenere a bada queste pericolose insurrezioni. In una lettera del 1199, egli dichiarò che era sua intenzione favorire in ogni modo i saraceni se essi si fossero mantenuti fedeli a Federico, ma che non voleva tollerare che essi cospirassero con Marcovaldo contro il regno di Sicilia. Inoltre promise loro la sua benevolenza ed il mantenimento della libertà di culto e degli antichi privilegi (1).
Le promesse, le minacce e le esortazioni del Papa non raggiunsero l’effetto sperato, ed i saraceni di Sicilia realmente si allearono con Marcovaldo di Anweiler che doveva essere, a loro dire, il vero reggente. Il 21 luglio del 1200, Anselmo, Arcivescovo di Napoli, informa il Papa di una vittoria che il 17 dello stesso mese, l’esercito regio papale aveva riportato, fra Palermo e Monreale, su Marcovaldo e i suoi fautori tedeschi, pisani e saraceni (2).
Ancora, nel settembre del 1206, Innocenzo III si rivolgeva ai Kadi delle fortezze di Entella, Platana, Jato (Sciacca) e Racalmuto, e a tutti gli altri saraceni sparsi nell’interno dell’isola, per felicitarsi del loro atteggiamento e promettendo, in nome del re, che non avrebbero dovuto pentirsi della loro fedeltà. Tuttavia, queste esortazioni, promesse ed elogi non sortirono alcun effetto; infatti i saraceni dell’isola, che vivevano nelle attuali province di Palermo, Trapani e Agrigento, nel 1208 si ribellarono apertamente fortificandosi sulle montagne ed occupando il castello di Corleone (3).
Finchè visse Innocenzo, Federico si mostrò docile ai suoi voleri ma, una volta scomparso il potentissimo tutore, non esitò a mettere da parte gli impegni contratti e ad esercitare sul regno di Sicilia la sua autorità, non mancando di punire i saraceni ribelli.
Nel gennaio 1211, preso atto che i saraceni compresi nella giurisdizione della Chiesa di Monreale si erano mostrati renitenti a soddisfare gli obblighi contratti in qualità di coloni, concesse all’Arcivescovo di quella Chiesa di impadronirsi sia dei beni che dei saraceni renitenti. L’insurrezione saracena si propagò lentamente nell’intera zona occidentale dell’isola corrispondente alle attuali città di Palermo, Trapani, Agrigento e Gibellina. Quest’area geografica fu scelta dai ribelli perché vicina all’Africa settentrionale dove potevano più facilmente ricevere soccorsi. Ad avvalorare questa tesi è una lettera che l’Imperatore scrisse, il 27 novembre 1239, al Giustiziere della regione sicula di la dal fiume Salso, ordinandogli di costruire dei casali nei dintorni di Agrigento e un provvedimento che il Legato Pontificio per la Sicilia e la Calabria emanò, il 13 novembre 1254, a favore del Vescovo di questa stessa città.
L’insurrezione dei saraceni fu organizzata e diretta da un capo, il nome del quale è ricordato, con qualche variante, da diversi cronisti: Alberico delle Tre Fontane lo chiamò 'Mirabello' e lo defini come 'Principem saracenorum Siciliae'; Riccardo da San Germano, come pure l’Inveges ed il Muratori, lo nominano come 'Mirabetto' e lo qualificano come 'Saracenorum Siciliae ducem'. Huillard-Bréholles spiega le due versioni 'Mirabello' e 'Mirabetto' facendole derivare dall’arabo 'Emir Abbad' e riconosce a questi il titolo di Emiro (4).
Mentre in Sicilia divampava l’insurrezione araba, incrociavano nelle acque del Mediterraneo meridionale le navi di Ugo di Ferro e Guglielmo Porco, losche figure di mercanti o piuttosto pirati, sempre pronti a cogliere e a sfruttare qualunque occasione di arricchimento. Qualche tempo prima, essi, fingendo di voler condurre con le proprie navi in terra santa i crociati fanciulli “Causa Dei, ubsque pretio” andarono invece a venderli come schiavi in Algeria e ad Alessandria in Egitto. Ora essi offrivano i loro servizi all’emiro Ben-Abed.
In realtà, quali furono i motivi dell’insurrezione araba?
Nessun cronista contemporaneo a quegli avvenimenti ha dichiarato quali fossero. Si crede sia giusto condividere l’opinione del Muratori, il quale afferma che i saraceni si sollevarono "perché aggravati da grosse taglie e maltrattati dai cristiani". Troppo esose, per esempio, risultavano essere le condizioni a cui l’Arcivescovo di Monreale aveva concesso le terre della propria Arcidiocesi ai saraceni; ma costoro, non potendo sopportare tutti gli obblighi che avevano contratti, preferivano darsi alla latitanza.
Infatti, costretti a lavorare a condizioni economiche molto svantaggiose, sottoposti al pagamento di un tributo esoso in cambio della libertà religiosa ed invisi a tutti i cristiani, tentarono di riacquistare la propria indipendenza (5).
Federico represse prontamente l’insurrezione, conducendo contro i saraceni una vigorosa e fortunata campagna militare. L’Imperatore recatosi con un poderoso esercito ad assediare il castello di Giato che costituiva la principale roccaforte dei ribelli, dopo un assedio durato dalla metà di giugno fin oltre la metà del mese di agosto del 1222, riuscì a catturare Ugo di Ferro, Guglielmo Porco e l’emiro Ben-Abed con i due suoi figli. I cinque prigionieri, condotti a Palermo, vennero impiccati tutti insieme allo stesso patibolo·(6).
La pena inflitta ai cinque non aveva determinato la resa di tutti i saraceni e la fine della guerra. Gli arabi ribelli, asserragliati in posizioni montagnose inaccessibili, potevano essere costretti alla resa solo con un’azione che li rendesse 'affamati'.
Occorrevano, a tal fine, ingenti forze ed abbondanti mezzi. Allora Federico abbandonò temporaneamente la Sicilia per raccogliere gli uni e gli altri. I diplomi, firmati dall’Imperatore tra il 29 ottobre 1222 e il 25 maggio 1225 (7), con le loro datazioni ci permettono di seguire le varie tappe del viaggio che egli compì attraverso le principali città del continente, cominciando dalla Calabria, passando sino ai confini con lo Stato pontificio e terminando nuovamente in Calabria. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 1223, Federico II tornò in Sicilia dove rimase, ininterrottamente, fino all’aprile del 1225. In questi due anni mise in atto il nuovo piano di guerra tendente ad affamare i ribelli. Per prima cosa, inviò una spedizione contro l’isola di Gerba, nell’Africa settentrionale, per tagliare i rifornimenti. La base fu distrutta e gli abitanti presi prigionieri; quindi iniziò la distruzione sistematica di tutte le vettovaglie che le campagne circostanti potevano offrire agli insorti.
Riccardo da San Germano narra che, nel 1225, una gran parte dei saraceni, stretti dalle forze imperiali, si arrese a Federico mentre altri, fidando nelle loro inespugnabili posizioni, continuarono a tenergli testa (8).
Nello stesso anno, Federico si recò in Puglia per arruolare nuove truppe da impiegare nella lotta. Ritornato nell’isola, riportò un trionfo che fu definitivo. I saraceni si decisero a scendere dalle montagne e a consegnarsi all’Imperatore, un gruppo alla volta, tra il 1223 ed il 1225, man mano che la fame faceva loro apparire impossibile ogni ulteriore resistenza.
CAPITOLO I
I saraceni in Sicilia, lotta con i normanni e gli svevi, la loro sconfitta.
Intorno alla metà del IX secolo, l’Europa si trovò assediata da incursioni di nuovi barbari e dall’Islam. Dal Nord i normanni, da Est gli ungari e gli slavi, dal Sud i saraceni.
Sull’Italia meridionale la minaccia si abbatté da parte dell’Islam: berberi, agareni, ismaeliti, saraceni, così variamente vennero denominati dalle fonti latine le bande che si gettarono all’assalto muovendo dalla Sicilia, dalle coste settentrionali dell’Africa e dalla Spagna. Nell’813 i saraceni (così furono chiamati gli arabi in Occidente) fecero la loro prima apparizione sulle coste tirreniche, spingendosi dalla Sardegna a saccheggiare Centocelle.
La conquista della Sicilia rappresentò il culmine dell’espansione musulmana nel Mediterraneo: operata a partire dall’827, con lo sbarco a Mazara di truppe composte da arabi, berberi e ispano-musulmani, fu il frutto di una lunga guerra combattuta contro l’impero bizantino.
Le prime località conquistate furono: Biscari, Palazzo, Chiaromonte; nell'859 fu la volta di Cefalù, nell'864 venne conquistata la città di Noto e, nell'878, cadeva Siracusa dopo un assedio durato decine di anni. La conquista dell’isola era compiuta; i saraceni non conquistarono che città decadute dall'antica grandezza.
La Sicilia fu la prima sede di un emirato dipendente dalla dinastia tunisina degli Aglabiti, fondata dall’emiro Ibrahim al — Aghlab, poi fu provincia indipendente con una propria dinastia, quella dei Fatimi. Fra il 948 e il 1053 si impose in Sicilia la dinastia Kalbita, dotata di ampia autonomia e creatrice di una civiltà fastosa. Ma la fine dell’unità politica é segnata, dopo il 1053, da turbolente lotte tra emiri e guerre fratricide che sconvolsero il mondo musulmano e furono causa della sua decadenza.
L’unita politica si viene frazionando tra i vari kaid (condottieri).
Questo quadro politico si contrappone ad un significativo sviluppo economico, conseguente sia l’introduzione di nuove tecniche agricole ed artigianali, che allo sfruttamento commerciale della posizione centrale occupata dalla Sicilia nel Mediterraneo.
Nel IX secolo, forti della loro superiorità marittima, i saraceni erano arrivati, oltre che a conquistare la Sicilia ed a isolare la Sardegna, a costituire un emirato a Bari (840-870), a istallarsi alle foci del Garigliano nel basso Lazio e da qui a compiere scorrerie contro Roma, ed a insediarsi a lungo in Provenza. Tuttavia, quasi contemporaneamente,inizia la riscossa dei paesi cristiani.
In Sicilia è la richiesta d’aiuto ai normanni ad avviare la fine del dominio musulmano. I normanni erano giunti in successive ondate nell’Italia meridionale già dalla prima metà dell’XI secolo. Noti per lo spirito d’avventura e l’abilita che dimostravano in guerra, i normanni ottennero la prima vittoria a Melfi; questa conquista aprì loro la strada verso la Puglia e la Calabria. Tra le file di questi soldati c’erano gli undici fratelli Altavilla con i loro seguaci; tra questi vi era Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo (l’astuto). Per aprirsi la strada verso la Sicilia aveva necessità di una legittimazione che poteva venirgli solo da una delle due autorità universali: l’Impero d’occidente e il Papato, con il quale i rapporti divennero ben presto decisivi.
Nel 1059, il Guiscardo sottoscrisse l’accordo di Melfi con Papa Niccolò II ottenendo l’investitura di duca di Puglia e Calabria, con l’obbligo di riconoscersi suo vassallo e difendere i territori pontifici, mentre il fratello Ruggero assunse nello stesso anno il titolo di futuro duca di Sicilia. Questo accordo è la premessa del progetto di conquista della Sicilia.
Benché iniziata da Roberto, la conquista rimane soprattutto opera di Ruggero. Questa comincia nel 1061, quando Ruggero vi sbarca e ne occupa la parte orientale, attorno a Messina. In quel periodo i saraceni erano in contrasto con gli emirati indipendenti di Mazara, Girgenti e di Siracusa. Furono i musulmani di Catania e di Siracusa a dare appoggio a Ruggero d'Altavilla per la conquista di Messina (1060-1061). Ruggero si fermò a Troina e ne fece sua capitale (1064). Fu nel corso di un decennio che i normanni si dotarono della flotta che li avrebbe condotti alla conquista di Palermo.
Dopo le prime imprese, svolte tra il 1061 e il 1064, la conquista procedette in maniera difficoltosa, sia per la resistenza di Castrogiovanni, dove l’emiro Ibn al-Hawas guidava la difesa nella valle di Enna, sia per la partecipazione di Ruggero alle campagne di Puglia del fratello Roberto. La conquista della Sicilia ricevette un nuovo e decisivo impulso soltanto nell’agosto del 1071, quando i normanni riuscirono ad assediare Palermo che capitolò il 10 gennaio 1072, in seguito all’attacco congiunto di Roberto e Ruggero, che entrarono nel porto della città con l'esercito in massa oltrepassando le difese della Kalsa.
Vennero restituiti beni ed autorità all’arcivescovo di Palermo, che aveva mantenuto vivo il culto cristiano, mentre gli arabi continuarono ad occuparsi del commercio, restando nel quartiere della Kalsa sino al porto. In questa occasione, il duca Roberto conferì a Ruggero il titolo di conte, affidandogli tutta la Sicilia a feudo, tranne Palermo e Messina, in possesso congiunto. Seguì una lunga guerra d’assedio, prima alle città costiere che ricevevano l’appoggio dell’Ifriqiya (l’attuale Tunisia), poi a quelle del centro dell’isola. Dello svolgimento delle operazione abbiamo poche notizie: negli anni 1075 - 1077 vi fu l’avanzata in Val di Noto a Sud, quindi in Val di Mazara e sulla costa occidentale; nel 1079 i normanni rinforzarono le zone orientali conquistate a sud di Messina. Nel 1085, alla morte di suo fratello, Ruggero rimase l’unico artefice della conquista. Dopo molte ostilità, causate dalla risposta araba organizzata dall’emiro di Siracusa, nel 1086 caddero Castrogiovanni e Girgenti; infine, nel 1091, vi fu la conquista portata a termine quando cadde Noto ultima roccaforte saracena.
Alla morte di Roberto il Guiscardo, il dominio normanno risulta così diviso: la parte continentale del mezzogiorno nelle mani dei suoi eredi diretti, la Sicilia (eletta a contea fin dal 1072) a Ruggero I granconte, fidato vassallo del fratello.
Morto Ruggero 1, nel 1130, gli succedette il figlio Ruggero II che uni la Sicilia ai possessi normanni dell’Italia meridionale ottenendo il titolo di re di Sicilia e di Puglia (poiché si era estinta la dinastia di Roberto il Guiscardo) e riorganizzò amministrativamente l’isola dandole un saldo potere centrale e facendone il fulcro della potenza mediterranea della stirpe normanna. Il sovrano fondò un regno molto prospero, riuscendo a conciliare l’elemento arabo con quello cristiano. Regnò per ventiquattro anni, durante i quali riassettò il sistema burocratico e amministrativo, potenziò la flotta, ampliò i commerci e rese florida l’agricoltura. Grande merito di Ruggero II fu il regime di tolleranza da lui voluto nei riguardi dei saraceni, lasciando loro le terre coltivate e la possibilità di seguire il proprio culto e le proprie leggi. Rese possibile la politica della tolleranza fra i popoli (arabi, bizantini, ebrei e latini) nel rispetto dei costumi, delle fedi religiose e delle varie culture. Egli restò comunque fedele alla cristianizzazione perseguita dal padre Ruggero.
Guglielmo I, detto "il Malo", succedette al padre Ruggero II, ma il suo regno fu offuscato da congiure baronali e repressioni spietate. A soli 46 anni, nel 1166, mori e la regina Margherita assunse il trono fino al raggiungimento della maggiore età del secondogenito, Guglielmo II detto 'il Buono' apprezzato per la sua tolleranza. Questi fu incoronato re nel 1171.
Alla sua morte, nel maggio 1189 a soli 36 anni, non vi è un erede diretto o designato; sono due i pretendenti alla corona di Sicilia: il cugino Tancredi, figlio illegittimo di Ruggero II, ed Enrico VI (figlio dell’imperatore germanico Federico I Barbarossa) sposo di Costanza d’Altavilla (figlia di Ruggero II) sposata due anni prima.
Morto Guglielmo II, la corona della Sicilia passa legittimamente dalla monarchia normanna a quella sveva. Durante il regno di Enrico VI in Sicilia, i saraceni non si ribellarono in attesa di una rivoluzione politica che abbattesse l’aristocrazia normanna.
L'instabilità, aggravatasi con la morte di Enrico VI avvenuta nel 1197 a Messina, era destinata a durare a lungo. Il figlio e successore di Enrico, Federico, ha tre anni e rimane affidato alla madre Costanza che, accantonando il testamento del marito che chiamava alla reggenza il gran siniscalco imperiale Marcovaldo di Anweiler, si accorda prima con il Papa Celestino III, poi con Innocenzo III.
Riconoscendo la supremazia del Papa, conclude un concordato nel quale rinuncia all’impero per conto del figlio, la cui reggenza viene affidata al Papa. Il 17 maggio, 1198 Federico viene incoronato re di Sicilia nella cattedrale di Palermo, all’età di quattro anni; Costanza muore il 27 novembre dello stesso anno e Innocenzo III - Lotario dei Conti di Segni - diventa il tutore del sovrano. Incaricati della sua educazione furono i vescovi delle diocesi del Regno di Sicilia ed in particolare Gualtiero di Pagliara, vescovo di Troia in Capitanata. In virtù di ciò, i saraceni divennero aggressivi. Forti infatti erano i timori che il Papa sarebbe divenuto il padrone della Sicilia e che loro sarebbero stati banditi per sempre dall’isola. Innocenzo III, nel fedele esercizio della sua funzione di tutore del re, cercò, con promesse e minacce, di tenere a bada queste pericolose insurrezioni. In una lettera del 1199, egli dichiarò che era sua intenzione favorire in ogni modo i saraceni se essi si fossero mantenuti fedeli a Federico, ma che non voleva tollerare che essi cospirassero con Marcovaldo contro il regno di Sicilia. Inoltre promise loro la sua benevolenza ed il mantenimento della libertà di culto e degli antichi privilegi (1).
Le promesse, le minacce e le esortazioni del Papa non raggiunsero l’effetto sperato, ed i saraceni di Sicilia realmente si allearono con Marcovaldo di Anweiler che doveva essere, a loro dire, il vero reggente. Il 21 luglio del 1200, Anselmo, Arcivescovo di Napoli, informa il Papa di una vittoria che il 17 dello stesso mese, l’esercito regio papale aveva riportato, fra Palermo e Monreale, su Marcovaldo e i suoi fautori tedeschi, pisani e saraceni (2).
Ancora, nel settembre del 1206, Innocenzo III si rivolgeva ai Kadi delle fortezze di Entella, Platana, Jato (Sciacca) e Racalmuto, e a tutti gli altri saraceni sparsi nell’interno dell’isola, per felicitarsi del loro atteggiamento e promettendo, in nome del re, che non avrebbero dovuto pentirsi della loro fedeltà. Tuttavia, queste esortazioni, promesse ed elogi non sortirono alcun effetto; infatti i saraceni dell’isola, che vivevano nelle attuali province di Palermo, Trapani e Agrigento, nel 1208 si ribellarono apertamente fortificandosi sulle montagne ed occupando il castello di Corleone (3).
Finchè visse Innocenzo, Federico si mostrò docile ai suoi voleri ma, una volta scomparso il potentissimo tutore, non esitò a mettere da parte gli impegni contratti e ad esercitare sul regno di Sicilia la sua autorità, non mancando di punire i saraceni ribelli.
Nel gennaio 1211, preso atto che i saraceni compresi nella giurisdizione della Chiesa di Monreale si erano mostrati renitenti a soddisfare gli obblighi contratti in qualità di coloni, concesse all’Arcivescovo di quella Chiesa di impadronirsi sia dei beni che dei saraceni renitenti. L’insurrezione saracena si propagò lentamente nell’intera zona occidentale dell’isola corrispondente alle attuali città di Palermo, Trapani, Agrigento e Gibellina. Quest’area geografica fu scelta dai ribelli perché vicina all’Africa settentrionale dove potevano più facilmente ricevere soccorsi. Ad avvalorare questa tesi è una lettera che l’Imperatore scrisse, il 27 novembre 1239, al Giustiziere della regione sicula di la dal fiume Salso, ordinandogli di costruire dei casali nei dintorni di Agrigento e un provvedimento che il Legato Pontificio per la Sicilia e la Calabria emanò, il 13 novembre 1254, a favore del Vescovo di questa stessa città.
L’insurrezione dei saraceni fu organizzata e diretta da un capo, il nome del quale è ricordato, con qualche variante, da diversi cronisti: Alberico delle Tre Fontane lo chiamò 'Mirabello' e lo defini come 'Principem saracenorum Siciliae'; Riccardo da San Germano, come pure l’Inveges ed il Muratori, lo nominano come 'Mirabetto' e lo qualificano come 'Saracenorum Siciliae ducem'. Huillard-Bréholles spiega le due versioni 'Mirabello' e 'Mirabetto' facendole derivare dall’arabo 'Emir Abbad' e riconosce a questi il titolo di Emiro (4).
Mentre in Sicilia divampava l’insurrezione araba, incrociavano nelle acque del Mediterraneo meridionale le navi di Ugo di Ferro e Guglielmo Porco, losche figure di mercanti o piuttosto pirati, sempre pronti a cogliere e a sfruttare qualunque occasione di arricchimento. Qualche tempo prima, essi, fingendo di voler condurre con le proprie navi in terra santa i crociati fanciulli “Causa Dei, ubsque pretio” andarono invece a venderli come schiavi in Algeria e ad Alessandria in Egitto. Ora essi offrivano i loro servizi all’emiro Ben-Abed.
In realtà, quali furono i motivi dell’insurrezione araba?
Nessun cronista contemporaneo a quegli avvenimenti ha dichiarato quali fossero. Si crede sia giusto condividere l’opinione del Muratori, il quale afferma che i saraceni si sollevarono "perché aggravati da grosse taglie e maltrattati dai cristiani". Troppo esose, per esempio, risultavano essere le condizioni a cui l’Arcivescovo di Monreale aveva concesso le terre della propria Arcidiocesi ai saraceni; ma costoro, non potendo sopportare tutti gli obblighi che avevano contratti, preferivano darsi alla latitanza.
Infatti, costretti a lavorare a condizioni economiche molto svantaggiose, sottoposti al pagamento di un tributo esoso in cambio della libertà religiosa ed invisi a tutti i cristiani, tentarono di riacquistare la propria indipendenza (5).
Federico represse prontamente l’insurrezione, conducendo contro i saraceni una vigorosa e fortunata campagna militare. L’Imperatore recatosi con un poderoso esercito ad assediare il castello di Giato che costituiva la principale roccaforte dei ribelli, dopo un assedio durato dalla metà di giugno fin oltre la metà del mese di agosto del 1222, riuscì a catturare Ugo di Ferro, Guglielmo Porco e l’emiro Ben-Abed con i due suoi figli. I cinque prigionieri, condotti a Palermo, vennero impiccati tutti insieme allo stesso patibolo·(6).
La pena inflitta ai cinque non aveva determinato la resa di tutti i saraceni e la fine della guerra. Gli arabi ribelli, asserragliati in posizioni montagnose inaccessibili, potevano essere costretti alla resa solo con un’azione che li rendesse 'affamati'.
Occorrevano, a tal fine, ingenti forze ed abbondanti mezzi. Allora Federico abbandonò temporaneamente la Sicilia per raccogliere gli uni e gli altri. I diplomi, firmati dall’Imperatore tra il 29 ottobre 1222 e il 25 maggio 1225 (7), con le loro datazioni ci permettono di seguire le varie tappe del viaggio che egli compì attraverso le principali città del continente, cominciando dalla Calabria, passando sino ai confini con lo Stato pontificio e terminando nuovamente in Calabria. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno del 1223, Federico II tornò in Sicilia dove rimase, ininterrottamente, fino all’aprile del 1225. In questi due anni mise in atto il nuovo piano di guerra tendente ad affamare i ribelli. Per prima cosa, inviò una spedizione contro l’isola di Gerba, nell’Africa settentrionale, per tagliare i rifornimenti. La base fu distrutta e gli abitanti presi prigionieri; quindi iniziò la distruzione sistematica di tutte le vettovaglie che le campagne circostanti potevano offrire agli insorti.
Riccardo da San Germano narra che, nel 1225, una gran parte dei saraceni, stretti dalle forze imperiali, si arrese a Federico mentre altri, fidando nelle loro inespugnabili posizioni, continuarono a tenergli testa (8).
Nello stesso anno, Federico si recò in Puglia per arruolare nuove truppe da impiegare nella lotta. Ritornato nell’isola, riportò un trionfo che fu definitivo. I saraceni si decisero a scendere dalle montagne e a consegnarsi all’Imperatore, un gruppo alla volta, tra il 1223 ed il 1225, man mano che la fame faceva loro apparire impossibile ogni ulteriore resistenza.
1. H. Bréholles, Historia diplomatica Frcedicrici sccundi, Parisiis, 1852 — 1861 pag. 37
2. M. Amari, Storia dei musulmani in Sicilia, Catania, 1933 vol. III, pag. 592, nota 1 ,
3. M. Amari, Op. cit., vol. III, pag. 589
4. ibidem, Op. cit., vol. III, pagg. 609 / 611
5. ibidem, Op. cit., vol. III, pagg. 601 /606
6. ibidem, Op. cit., vol. III, pag. 612, nota 2
7. H.- Bréholles, Op. cit., pagg. 272 /374
8. M. Amari, Op. cit., vol. III, pagg. 619 — 620