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Il doppio stile di Ferdinando Quintavalla

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Il don Chisciotte L'anguria

Nella suggestiva cornice di Palazzo d’Auria II è stata inaugurata sabato 10 ottobre la personale di Ferdinando Quintavalla, artista già noto al pubblico lucerino ritornato dopo 13 anni per la sua quarta esposizione nella nostra città curata dal gallerista Valeno.
L’esposizione ospita circa 40 opere dell’artista parmense continuatore della grande tradizione classica italiana, come lui stesso si definisce, che propone al pubblico due sfere della sua concezione artistica espresse attraverso due differenti stili: nelle scene mitologiche Quintavalla adopera una pennellata più fluida in un ambiente inondato di una luce morbida e calda, solare, naturale, che accarezza le forme; nelle nature morte invece la traccia del pennello è quasi invisibile, se non fosse per alcune zone nei panneggi, una visione analitica del soggetto che registra una luce più fredda, “sparata” sugli elementi principali, artificiale.
Una produzione basata sulla dualità per questo artista che porta avanti in modo parallelo due percorsi differenti, ma è proprio grazie a questa scelta che possiamo ammirare delle caratteristiche altrimenti inespresse se avesse seguito un unico sentiero: la scena mitologica gli offre la possibilità di raccontare storie, di parlare di emozioni, di debolezze ed ideali mentre la natura morta gli permette di esprimere tutta la precisione della sua tecnica, la minuzia e la perizia attraverso le quali rende i vari materiali, dalla lucentezza dell’argento al peso del marmo passando per la morbidezza delle carni.
Si rende conto Qintavalle che atmosfere diverse richiedono stili diversi è lo fa quasi sdoppiandosi ma mantenendo sempre alto il livello pittorico; le nature morte colpiscono i più per la fedele analisi, per la capacità che possiedono di spingere l’osservatore a chiedersi se non siano fotografie, ma le scene mitologiche toccano la sensibilità; proprio quel tratto svelto, quasi schizzato e l’attenzione riservata solo ad alcuni dettagli sui quali il pennello insiste (come il viso della Vergine nella Deposizione) guidano l’occhio dell’osservatore verso il punto focale dell’avvenimento e verso il “cuore” della storia e dei protagonisti.
Un artista che cresce continuamente, che cerca di migliorarsi in maniera costante, un’autodidatta che vede proprio nella sua “auto-formazione” l’essenza della libertà e della sperimentazione che lo guida nella produzione artistica caratterizzata da uno studio continuo mirato ad esplorare tutte le sue potenzialità pittoriche per meglio portare al pubblico il suo messaggio personale.
Un artista della luce, quella luce che piegata al suo intento scolpisce foglie accartocciate, frutti in parte sbucciati e cestini di vimini ma anche panneggi svolazzanti e chiome luminose.

Berenice Di Matto

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