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La storia della Lucera saracena che non possiamo e non dobbiamo dimenticare




Parlare, o tornare a parlare, della nostra storia è una necessità, un bisogno che, ormai, non possiamo ignorare, soprattutto se consideriamo l'invasività del mondo globale che, oggi, tutto livella e tutto ammanta di spersonificante banalità, che manda alla deriva le identità dei territori, e crea un oblio in cui finisce la trama delle narrazioni comuni e per questo ignorate dalle nuove generazioni.

Così, è risultato quanto mai utile e bello a Lucera, lunedì 21 settembre, partecipare, nel chiostro del complesso di San Pasquale, all'incontro, promosso dal Rotary Club e dal Comune, a cura della consigliera Francesca Niro, con Amedeo Feniello, autore del volume Sotto il segno del Leone (Laterza). Oggetto dell'evento la nascita e la tragica fine della Colonia musulmana di Lucera.

Pubblico numeroso, tra le antiche architetture, e ritmo serrato da parte dell'autore che si è subito premurato, anche con l'ausilio di un maxi schermo, di stabilire i contorni in cui la vicenda trae la sua origine; partendo alla lontana, IX secolo, da quando la Sicilia divenne splendida provincia del mondo arabo e Palermo (Balarm) suo fiorente capoluogo. Poi, l'avvento dei Normanni restrinse gli spazi della comunità musulmana, pur servendosi, i re normanni, di funzionari e cortigiani di fede islamica. Cultura e lingua orientali non si erano certo spente in quell'universo ancora multietnico al rifulgere della figura di Federico II, figlio dello svevo Enrico VI e della normanna Costanza d'Altavilla.

Al Imbratùr, come lo avrebbero chiamato i sudditi e gli amici seguaci del Corano di oltremare, cioé l'imperatore, nel 1220, tornato dal tribolato viaggio in Germania, dove aveva acquisito la corona imperiale, si trovò di fronte la resistenza di nuclei musulmani ribelli, tra i monti della Sicilia occidentale. Fu il momento in cui Federico fu costretto a far valere la ragion di stato e a reprimere spietatamente ogni ribellione, decidendo, alla fine, di deportare un numero considerevole di ribelli nella Gran Terra, nel continente, e a Lucera, che presto divenne Lujarah, città arabeggiante e ricca, per la loboriosità dei suoi nuovi residenti esperti artigiani, commercianti e agricoltori, oltretutto diventati fedelissimi allo Staufen, al punto da seguirlo ovunque nelle numerose campagne militari da questi intraprese.

Morto Federico II; ucciso in battaglia, nel 1266 a Benevento, suo figlio Manfredi, gli Angioini subentrarono all'aquila sveva, tollerando la presenza della Colonia saracena di Lucera, che pagava pesanti tributi per la sua sopravvivenza, anche dopo i rigurgiti di ribellione scaturiti a seguito della discesa in Italia di Corradino di Svevia, finito a sedici anni sul patibolo in piazza Mercato a Napoli, nel 1268, essendo stato battuto a Tagliacozzo dalle milizie angioine.

Lujarah ebbe, comunque, vita fino al 1300, anno del primo giubileo, Bonifacio VIII sul soglio di Pietro. Carlo II d'Angiò, nonostante i servigi offerti dai saraceni, decise che era giunta l'ora di regolare i conti con la presenza musulmana nel cuore della cristianità, non senza pensare alle disastrose condizioni delle case reali, per anni, sostenute dai prestiti dei banchieri romani e toscani, con il placet del papa, e dalle donazioni a fondo perduto dei re di Francia. La città, in quei drammatici giorni di agosto, macchiata dal sangue innocente e dal tradimento dei capi lucerini, fu presa dalle truppe guidate da Giovanni Pipino da Barletta; coloro che sopravvissero, spogliati di ogni avere, furono avviati verso i mercati degli schiavi per essere venduti.

Questa storia è stata narrata nel chiostro di San Pasquale; di questa storia speriamo si continuerà a parlare. Noi lo faremo, come già altre volte abbiamo fatto.

(s.r.) 

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