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Le sofferenze capestro per le banche italiane




L’angolo di Antonio Di Muro
 
Le sofferenze del sistema bancario – le creditorie  a forte rischio di rientro –  sono una minaccia non solo per la liquidità delle aziende, ma soprattutto per il regolare sostegno all’attività imprenditoriale, che dall’assetto delle attività correnti e liquide traggono motivo di sostentamento.  L’ABI – Associazione Bancaria Italiana – ci fa sapere che a giugno queste partite avevano toccato il tetto di quasi 139 miliardi di euro, una cifra enorme  che potrebbe portare al collasso il normale flusso delle creditorie. Sono coinvolte e, quindi, in difficoltà soprattutto le medie e piccole aziende (12,8%), che  hanno i loro bilanci ingessati a ragione della mancanza di ordini e dalla impossibilità di usufruire del cosiddetto fido fornitori, che nelle aziende è una valvola di sicurezza per dilazionare i termini di pagamento. Anche le famiglie partecipano al calcolo della determinazione delle sofferenze bancarie (5,1%), segnale questo che è riconducibile senza ombra di dubbio alla perdita di lavoro e alla impossibilità  di ricollocarsi sul mercato dell’impiego, specie per gli cinquantenni. Famiglie morose, le stesse che un tempo erano il fiore all’occhiello del sistema bancario, in ordine alla puntualità nel soddisfare gli impegni. Queste sono le notizie ufficiali, perché, poi, vi sono altri dati non  portati tra le cifre di difficilissimo realizzo, ma ugualmente inchiodati nei bilancio delle aziende sotto il nome di partire incagliate. Sono quelle che  vivono in difficoltà, quasi in una situazione  di coma, alla porta della soglia delle definitiva insolvibilità. Non si conoscono i dati, ma da quello che trapela attraverso i contatti informali con i responsabili delle filiali la cifra sarebbe ragguardevole.  La situazione è un invito a ricorrere al mondo dell’usura, che, difatti, in questa circostanze gode a dismisura, perché, nelle situazioni disperate, diventa l’unico strumento per tenere in piedi la speranza di far proseguire l’attività aziendale o di salvare le famiglie. 
L’usura è odiata da tutti, ma solo quando bisogna demonizzarla sul piano etico e morale. In pratica, gli strozzini non fanno nulla per sostituirsi ai modelli legali, ma utilizzano quelle crepe che si aprono proprio quando i canali creditizi ordinari diventano asfittici. E questi canali diventano tali proprio per la pesantezza delle sofferenze. Ovviamente,  ne risente di più il sistema creditizio meridionale, che notoriamente è già debole di suo, ma che con le sofferenze vede aprirsi le porte all’inedia fiduciaria.
Difatti, sono di questi giorni le notizie di una banca pugliese in difficoltà proprio per l’accollo delle posizioni sofferenti, come dire per il mancato ritorno delle partite che, a rotazione, dovrebbero esaudire le richieste di finanziamento. Come spesso succede in questi casi, tanti sono a richiedere nuove regole circa una erogazione del credito più rigorosa, salvo, poi, a sostenere il contrario il giorno dopo, quando reclamano un  maggior sostegno da parte del sistema bancario a favore del mondo imprenditoriale.  Il problema di fondo non è di burocratizzare ancora il lavoro bancario. Occorre che gli istituti di credito tornino a fare il loro mestiere, che è di una semplicità disarmante: raccogliere quattrini per, poi, impiegarli, possibilmente con diligenza e oculatezza e non impelagandosi in investimenti finanziari a sfondo speculativo.

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