P. Zolla: 1° Maggio: Festa dei lavoratori senza lavoro
Il 1° maggio nacque come momento di lotta dei lavoratori per raggiungere obiettivi di miglioramento della propria condizione di vita.
«Otto ore di lavoro, otto di svago e otto per dormire», fu il motto coniato in Australia nel 1855 e condiviso da quasi tutti i movimenti sindacali del primo novecento.
Dal congresso dell’Associazione internazionale dei lavoratori riunito a Ginevra nel settembre del 1866, venne fuori la proposta concreta: «Otto ore come limite legale dell’attività lavorativa.»
Lo Stato dell’Illinois nel 1866 approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore e l’entrata in vigore avvenne il 1° Maggio del 1867, con una grande manifestazione a Chicago.
Il 1° Maggio divenne festa per tutti il 20 luglio 1889, durante il congresso della Seconda internazionale a Parigi.
Era una scelta simbolica in quando tre anni prima (1 maggio 1886) a Chicago una grande manifestazione operaia venne repressa nel sangue.
Il ricordo di quei morti divenne simbolo di lotta per le otto ore e veniva fatta rivivere nella giornata ad essi dedicata.
In Italia nel 1898 ci furono i “Moti del Pane” che terminarono tragicamente a Milano.
Ma il 1° Maggio, nei primi del novecento, si caratterizzò anche per la rivendicazione del suffraggio universale e per la protesta contro l’impresa libica e contro la partecipazione dell’Italia alla guerra mondiale.
Il 1° Maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori festeggiarono il conseguimento dell’obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore di lavoro.
Durante il fascismo la festa del lavoro venne spostata al 21 aprile, giorno del cosidetto Natale di Roma, ma all’indomani della Liberazione, il 1° Maggio 1945, i lavoratori si ritrovarono nelle piazze in un clima di entusiasmo.
Due anni dopo il 1° Maggio venne funestato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fecero fuoco contro i lavoratori che assistevano al comizio.
Dopo la spaccatura del sindacato, i lavoratori tornarono uniti in piazza a celebrare il 1° Maggio nel 1970 e continua ancora oggi, anche se la Festa del Lavoro viene celebrata senza lavoro!
A fatighe ògge u passate de kraje éje
L’òme nenn’éje pòvre kuanne ndéne
ninde, ma kuanne ne nfatighe pekkè
‘a fatighe ‘a nòj’u vizzj’è u bbesuggne
allundanéje. Cirte ‘a fatighe
nen pjace kuase kuase a nessciune,
appèrò éje sckitte nd’a fatighe
ka l’òme ‘a pussebbeletà téne
de se trùuà. Kòmbete éje de ki
gùuèrne ‘a fatighe trùuà, sckitte
akkussì ògge u passate se krjarrà
d’u kraje pekkè ‘a fatighe éje
u mizze cchjùmmègghje pe fà passà
u kambà. ‘A luvére lebbertà
d’òggnè òme èsiste ne mbóde
sènza sekurèzze èkunòmeke
è ndepennènze. ‘A ggènde k’a lópe
è ssènza fatighe paste addevendéje
p’i dettature. Pettande gògge
‘a grazzjòne k’avarrèmme agavezà
éje: «Ddìje mìje damme ‘a fatighe,
fenakkè u kambà mìje n’nze kunglude,
è u kambà, fenakkè ‘a fatiga mìje
nen nzìje a tèrmene purtate!»
Il Lavoro oggi è il passato di domani
L’uomo non è povero quando non ha
nulla, ma quando non lavora perché
il lavoro la noia il vizio e il bisogno
allontana. Certo il lavoro
non piace quasi a nessuno,
però è solo nel lavoro
che l’uomo ha la possibilità
di trovare se stesso. È compito di chi
governa trovare il lavoro, solo
così oggi si creerà il passato
di domani perché il lavoro è
il mezzo migliore per far passare
la vita. La vera libertà
individuale non può esistere
senza sicurezza economica
e indipendenza. La gente affamata
e senza lavoro diventa pasta
per le dittature. Pertanto oggi
la preghiera che dovremmo innalzare
è: «Dio mio dammi il lavoro,
finché la mia vita non si conclude,
e la vita, finché il mio lavoro
non sia finito!»
Pasquale Zolla