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Il governo Letta: l’urgenza dell’attesa

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Delle promesse neppure l’ombra si vede
La politica dei governi italiani, compreso quello retto da Enrico Letta, assomiglia ai palinsesti televisivi  dell’estate: è sempre zeppa di repliche 
capaci solo di annoiare.
La Lega non fa che attaccare il ministro Kyenge, solo perché è di colore, mentre il popolo italiano è costretto a sopportare le loro cravatte e camicie 
verdi; il Pd litiga sulle regole (congresso, primarie, legge elettorale) e il Pdl minaccia crisi di governo un giorno sì e un giono no, arrivando a 
prospettare una guerra civile se non si concede l’immunità all’uomo del bunga/bunga, a cui non basta il codazzo di cortigiani, ma vuole che l’Italia 
tutta lo ringrazi, lo onori, lo applauda, lo riverisca e veneri.
Nessun rappresentante del governo delle larghe intese ci dice a che punto si è con i tagli ai costi della politica.
Enrico Letta, presidente dell’esecutivo, , il giorno dell’insediamento aveva prospettato grandi riforme e tagli di tasse e enti inutili, nonché numero di 
parlamentari e tagli di stipendi e privilegi vari. Ma a tutt’oggi il finanziamento ai partiti è sempre lo stesso, il numero e gli stipendi dei 
parlamentari non sono dimezzati, gli alti stipendi dei dipendenti delle camere (8 mila euro mensili) avranno (quando?) un taglio del 3% e quelli dei manager 
pubblici sono solo stati bloccati.
L’abolizione delle Province, a cui aggiungerei anche le Regioni che allargano a dismisura la spesa pubblica, è in alto mare e i Comuni continuano a buttare 
soldi dalle finestre organizzando festicciole e spettacolini.
Grillo, col suo M5S, continua a chiedere le elezioni anticipate con il Porcellum dando, così, ai leader padroni la possibilità di inserire nelle liste 
bloccate i loro soliti servi.
Conclusione? Tutta la nostra classe dirigente, che si ritiene di solidi principi, continuerà a prenderci per i fondelli perché le loro promesse, anche 
dopo le votazioni, resteranno tali, ridisegnando il solito scenario che da un ventennio ci perseguita.
Infatti una volta tornati in parlamento i nostri rappresentanti continueranno a rintuzzarsi su questo e su quello, nonché a rubare a man bassa con oscuri 
leggi per i propri privilegi.
                                                                        
Pasquale Zolla
 
‘A urggènze d’a ‘ttése
‘A unetà d’i ‘Talje rappresndat’éje
d’è kammere d’attése, a ndò i póste
pe tuttekuande sònne (stazzjòne, póste),
ma ce stanne pure kuille k’i póste
specialezzate (ditte, menestére)
è ppe fassce de ‘nderèsse. Tuttekuande,
gratisse, demukratekamènn’aspèttene
kuille ka vònn’ò ka hanne assulute
è mmedjate bbesuggne. A vvóte
ce stanne nummere da pegghjà, a vvóte
aveteparlanne de chjamate.
‘A ‘ttése p’u cchjù pjacére dace
a sse stèsse, kume da tradezzjune
sekular’a karattere nazzjunale. È
ssckitte nda kuilli kammere ka i kundraste
s’acchjanene, nda nu destine kumune
è sucialmènne kunnevise. È
ppenzzà ka meljune de krestjane
murte sònne p’aunefekà nu Pajése
pemmizze d’i kammere d’a ‘ttése.

L’urgenza dell’attesa
L’unità dell’Italia è rappresentata
dalle sale d’aspetto, dove i posti
sono comuni (stazione, posta),
ma ci sono anche quelle per posti
specializzati (aziende, ministeri)
e per fasce d’interesse. Tutti,
senza pagare ticket, con affabilità attendono
quello che desiderano o che hanno assoluto
e immediato bisogno. A volte
ci sono numeri da prendere, a volte
altoparlanti di chiamata.
L’attesa per lo più dà piacere
a se stessa, come da tradizione
secolare a carattere nazionale. E
solo in quelle sale che i contrasti
si appianano, in un destino comune
e socialmente condiviso. E
pensare che milioni di persone
sono morte per unificare un Paese
sulle sale d’aspetto.

Pasquale Zolla

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