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Su Rai3 il delitto del lucerino Mario Giliberti che diede origine al mito di Diabolik

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Sabato 10 agosto è andata in onda la terza puntata della trasmissione di Rai3 Il giallo e il nero, condotta da Cesare Bocci, che come nella settimana precedente ha affrontato un caso di oltre 50 anni fa, quello di un omicidio commesso sempre nel 1958, ma stavolta a Torino. Un delitto terribile e misterioso, rimasto ancora oggi insoluto.

Quel giorno nacque il mito di Diabolik collegato proprio alla nostra città. Tutto ebbe inizio dal delitto compiuto a Torino, in via Fontanesi 20, quartiere Vanchiglia. Era il 25 febbraio 1958, un martedì. Un operaio Fiat di 27 anni, Mario Giliberti, fu ritrovato morto dissanguato, avvolto in un lenzuolo, sul pavimento della sua camera da letto al pianterreno, nel retro di un calzolaio. Colpito da undici fendenti, l' arma del delitto non fu mai ritrovata. Sul pomello di un armadio un biglietto lasciato a metà: «Troverete l' assas...». . Giliberti era un meridionale, originario di Lucera. Una vita riservata, una fidanzata a Lodi, dove era stato da militare, un bel gruzzolo di risparmi che fecero inizialmente pensare a una rapina o a un giro di prestasoldi. Giliberti era morto da tempo, forse una decina di giorni. Vedendo che sui giornali non era ancora comparsa la notizia dell' omicidio, il responsabile si firmò Diabolich in una lettera alla «Stampa» e alla Polizia, sfidando giornalisti e poliziotti a scoprire il mistero che per alcuni mesi seminò panico a Torino, soprattutto nella schiera degli immigrati che frequentavano la zona Vanchiglia e quella di Porta Palazzo.

Nella lettera con un gioco di parole rivelava l' indirizzo esatto in cui sarebbe stato trovato il cadavere. E spiegava anche il movente: 'Un tempo eravamo molto amici e portavamo la divisa comune, poi lui mi tradì come un cane. Adesso sta bene così che la mia vendetta lo à raggiunto. Spero che scopriate il cadavere prima che diventi marcio'.

I due erano compagni d’armi? Questa è la convinzione degli inquirenti.



Giliberti era stato sotto le armi per parecchio tempo, e aveva avuto diversi commilitoni. Questo indizio era davvero troppo poco per trovare il colpevole. Una foto trovata nel portafogli della vittima, però, indirizzò gli investigatori verso un ragazzo di Bergamo, che era stato militare con Mario, A.C.. Il sospetto è che tra i due potesse esserci un rapporto omosessuale, cosa che a quei tempi veniva definita semplicemente ‘un’amicizia particolare’.

Il ragazzo, di buona famiglia e benvoluto da tutti, venne arrestato, benché nei suoi confronti non ci fossero prove, se non quella foto con dedica ritrovata nella giacca del morto. Il giovane bergamasco fece quattro mesi e mezzo di carcere, benché già pochi giorni dopo il suo arresto cominciarono ad arrivare altre lettere a firma Diabolich. Il perito grafologo di parte, infine, riuscì a dimostrare che la scrittura di A.C. non poteva essere quella dell’assassino, mentre andavano certamente attribuite a Diabolich le lettere giunte ai giornali mentre A.C. si trovava in carcere.

Il ragazzo venne assolto prima per insufficienza di prove, poi con formula piena. Per lui fu la fine di un incubo, ma per la città di Torino fu l’inizio di un altro periodo terribile: tutti temevano che Diabolich tornasse a colpire, almeno fino a quando, sempre a La Stampa, arrivò un nuovo messaggio: «Il mio delitto non e’ un gioco da ripetersi». Quasi una sorta di rassicurazione di Diabolich alla popolazione.

Il killer aveva preso il nome e il modo di agire da un romanzo giallo uscito quasi un anno prima. “Uccidevano di notte”, di Italo Fasan. Nel libro «Diabolic», questa volta senza l' acca, era la firma che un attore malato con pochi mesi di vita aveva scelto di usare per compiere una serie di «omicidi perfetti». Dal libro l' assassino misterioso aveva preso l' idea di inviare lettere a giornali e inquirenti. I poliziotti interrogarono il giro di compaesani che la vittima frequentava, i colleghi, i vicini di casa ma la morte dell' operaio restò senza un colpevole.

Quattro anni dopo Angela e Luciana Giussani, decisero di creare il ladro spietato ma a suo modo umano, l' antieroe in formato tascabile. Al loro eroe criminale mancava solo un nome che fosse all' altezza e le due sorelle furono forse influenzate da quell’omicidio di via Fontanesi. Loro non confermarono ma neppure negarono mai del tutto, forse per alimentare un alone di mistero attorno al loro personaggio, che prese appunto il nome di Diabolik.

Una curiosità: nel dicembre del 1997 nacque per le Edizioni del Rosone la Collana «Intrighi», diretta da Lello Vecchiarino che vi pubblicò, per quella stessa collana, il primo libro: Diabolich. Il mistero di via Fontanesi.

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